Sono sempre stato del'idea che nella vita bisogna provare tutto. Sono sempre stato dell'idea che un genere musicale bisogna provarlo, ascoltarlo, giudicarlo veramente prima di sputar sentenze. C'è gente che dice che il power metal ha rovinato la categoria. C'è ne altra di gente che spara a zero su black, death, thrash, etc... Io me ne faccio un baffo e ascolto tutto, o sarebbe meglio dire tutto quello che riesco ad ascoltare. E così quando un amico circa un anno fa mi passò "Stream Of Consciousness" non rifiutai l'invito, nonostante non avessi mai sentito parlare del gruppo. Da allora gli italianissimi Vision Divine sono tra le mie band preferite e, appena appresa la notizia della nuova release, mi son fiondato a procurarmi questo "The Perfect Machine".
Un album, passatemi il termine, impegnato più del precedente, dato il concept attualissimo: la clonazione e l'ingegneria genetica. Uno scienziato italiano, in un futuro prossimo, scopre come evitare la morte, come creare l'essere umano perfetto, scoperta che a lungo andare porterà alla rovina il genere umano. Genere umano che dopo secoli di oblio intravederà la luce della salvezza quando apprenderà la notizia che da quache parte nel mondo, dopo centinaia di anni, un bambino è stato dato alla luce. Fantascienza. O forse no. Il sound dei Vision, nonostante sia spiccatamente riconoscibile, è leggermente cambiato, con alcuni passaggi più duri del solito. Esempio lampante è il riff d'apertura della title track che è anche l'incipit del disco: il pezzo poi sfocia in un ritornello melodico che trascina in maniera esaltante e in un ottimo solo di capitan Thorsen. Splendido pezzo che dà nel modo migliore l'idea del piccolo gioiello discografico che ci si trova in mano. Dopo "The Perfect Machine" si passa a "1st Day Of Never Ending Day": uno dei pezzi migliori dell'album, semmai c'è ne fosse qualcuno al di sopra degli altri. Il singer Michele Luppi ci si cala a pennello, adattandosi alla perfezione ai cambi di tempo, alla tastiera di Smirnoff e alla chitarra di Thorsen. Splendido. I classici Divine dei precedenti album si ripropongono con "The Ancestor's Blood" che ricorda nel ritornello alcuni passaggi di "Stream...". Lo stesso dicasi per "Land Of Fear", "Rising Sun" e "The River", essendo comunque tutti ottimi pezzi, trascinanti e coinvolgenti, specie nei ritornelli o nei solo di Thorsen. Insieme alla seconda traccia gli episodi di spicco dell'album sono "God Is Dead" e "Here In 6048". Il primo è il pezzo più duro dell'album (per quanto possa essere duro un pezzo power) in tutti i sensi: nel riff, nel testo, nella velocità d'esecuzione. La seconda è una splendida ballad come non se ne sentivano da anni, e la cui parte strumentale era stata proposta da Olaf Thorsen ai Labyrinth quando ancora vi militava, e che questi ultimi hanno considerato priva di interesse. Degna chiusura a questo splendido lavoro la dà "Now That You've Gone", con qualche azzeccato inserto elettronico e ottimi cambi di tempo. Mai acquisto fu da parte mia più azzeccato.
Un ottimo album, con un concept da fare invidia a molti songwriter, sfruttato con intelligenza, con spunti spirituali, morali e filosofici. Un'ottima band che ha subito qualche terremoto, ma che finalmente, trovata una line-up stabile, sono certo sfornerà altri capolavori chi lo sa, magari superiori a questo. Intanto, da parte mia, questo lavoro si merita il voto massimo.
Carico i commenti... con calma