Attraversando il ponte di Rialto della memoria, per sfuggire all’oblio.
Così comincia The Memory Theatre of Giulio Camillo di Matthew Maguire, pièce ambientata in una Venezia impalpabile e fittizia, dove l’architetto Giulio Camillo (1488-1544), edificatore di universi simbolici, tenta di inseguire i propri ricordi e nascondersi da Amnesia, donna senza volto e senza voce.
Questa pièce, messa in scena nel 1986 a New York, io non l’ho mai vista. O forse l’ho dimenticata?
La vita dell’erudito Giulio Camillo, radicata com’era nell’idea pre-moderna di un cosmo chiuso e ordinato, è stata spesa interamente nel tentativo di dar forma ad un progetto irrealizzabile: un anfiteatro in grado di rappresentare, per mezzo di simboli, l’intero cosmo nei propri gradoni; dove ogni cosa ha il proprio posto, e dove, con un sol colpo d’occhio, è possibile contemplare l’universo.
Questa conoscenza universale fattasi legno e pigmenti, è memoria in tre dimensioni.
Memoria dell’intero cosmo per mezzo di una fitta trama di immagini simboliche.
Memoria, anzitutto, dello stesso Giulio Camillo, fatta di remoti labirinti e di ponti riflessi sullo specchio d’acqua della sua mente.
Memoria che, come una tortuosa Wunderkammer, nasconde in sé questa stessa trama di simboli che è riflesso del suo endocosmo.
Come si sviluppi la trama di questo spettacolo non saprei dire, né mi riguarda la memoria del dottissimo Camillo, il cui oblio eterno è ormai dato dalla sua stessa vanagloria, dal suo non aver realizzato il proprio enorme progetto; nonché dall’inesorabile oblio della morte.
Qui è la musica, composta da Vito Ricci per questo spettacolo, la quale accompagna il percorso per i canali della memoria d’un uomo — che è anche memoria dell’universo— a riguardarmi come ascoltatore.
Ma cosa riaffiora dall’ascolto della Music from Memory?
L’ho dimenticato.
Ricordo però quel familiare “crossing the bridge”, di quella mia vita che fu, in un passato non ancora obliato, quando abitavo a esattamente 520 passi dall’ultimo gradino del ponte di Rialto — quante volte li ho contati quei passi?— e di una Venezia che riaffiora dalla memoria (sepolta sotto la tripla coltre di una memoria di qualcuno, immaginata da qualcun altro e messa in musica da qualcun altro ancora) per mezzo di questa musica misteriosa ed ammaliante.
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