Che incontro!
Vedo questo doppio cd della Decca in offerta a 13.90, resto titubante un minuto, ma alla fine mi decido a prenderlo. Si è rivelata una delle scelte più felici che potessi fare! Meglio ancora di darmi malato al lavoro e partire per Cuba. Meglio persino di richiamare Francy “mille buchi”...
Conoscevo già Alexander Scriabin per le sue meravigliose opere orchestrali, tra cui la grandiosa Prima Sinfonia, la Terza (“Il Poema Divino”), la Quarta (“Il Poema dell'Estasi”) e la Quinta (“Prometeo, il Poema del Fuoco), tutte capolavori.
Compositore poco conosciuto e atipico, ma prima ancora fanatico profeta di un individualissimo misticismo religioso, visse a cavallo tra '800 e '900, in quella Russia piena di fermenti e di avanguardie che produsse anche Stravinsky. Scriabin riteneva se stesso un essere semidivino, predestinato a recare una sorta di illuminazione all'umanità (un Prometeo, per l'appunto), come si può evincere da alcuni suoi deliranti estratti:
“Dovrà avvenire una fusione di tutte le Arti, ma non teatrale come quella di Wagner. L'Arte deve unirsi alla filosofia e alla religione in un'unità indivisibile per formare un vangelo nuovo che sostituirà quello vecchio al quale siamo sopravvissuti. Nutro la speranza di creare un tale “mistero”. Per questo sarebbe necessario costruire una specie di tempio...ma l'umanità non è pronta per tutto ciò. L'umanità ha bisogno di prediche. Deve essere guidata verso sentieri nuovi. E io predico. Una volta ho predicato persino da una barca come Cristo. Ho una piccola cerchia di persone che mi comprendono perfettamente e mi seguono...”
La musica di Scriabin, come la sua vita, era l'emblema dell'eccesso e dell'anelito all'infinito. Nelle sue partiture indicazioni convenzionali come “Allegro” o “Lento” raramente trovano posto, lasciando spazio ad un esplosione di fantasia che sboccia appieno in un macrocosmo di sfumature emotive. Eccole le indicazioni di Scriabin: “sempre più audace”, “trionfante”, “con premura ed ebbrezza”, “con lassitudine e languore”, “con nobile e dolce maestosità”, “con ebbrezza sempre crescente”, “quasi in delirio”.
Leggendole si capisce buona parte del suo mondo interiore, un mondo inebriante, convulso e appassionato, caratterizzato dalla sua febbrile, folle ricerca.
Le dieci Sonate per Pianoforte, composte a partire dai suoi vent'anni di età, presentano un'evoluzione stilistica sbalorditiva, partendo dagli echi chopiniani della Prima (1892), e arrivando alla personalissima e notturna poesia della Decima (1913), composta due anni prima della sua morte e piena di sonorità espressioniste. Ognuna di queste ha una propria fisionomia ben definita, ma le ultime cinque possono considerarsi una sintesi della vita creativa e filosofica di Scriabin.
Egli era terrorizzato dalla Sesta, e non la suonò mai in pubblico perché per lui era “un incubo terrificante, fangosa, impura e malefica”, un'esoterica formula sonora capace di sprigionare forze oscure. La Settima, diversamente, era amata da Scriabin, il quale la sottotitolò “Messa bianca”, poiché i suoi conflitti tendono a risolversi più verso la luce che verso le tenebre. L'Ottava, più neutrale delle due precedenti come temperamento, si eleva in grandi melodismi e presenta, a detta del compositore, un'armonia “derivata dalla Natura”. La Nona, battezzata “Leggendaria” o anche “Messa nera”, presenta una struttura di crescente complessità e tensione, fino a raggiungere un culmine catartico di violenza, insuperato nella sua musica come intensità. In chiusura, la geniale Decima, o “Sonata di insetti”, così chiamata dal compositore in virtù del brulicare selvaggio e caotico dei suoi trilli, ma che presenta anche momenti lirici di sublime dolcezza (come pure le altre sonate del resto).
Per chi scrive queste Sonate, specie le ultime, sono tra le più profonde e disturbanti opere musicali mai scritte, qualcosa di malato ed infetto le pervade tutte in profondità, e sono vivida testimonianza sonora del marcio che cova dentro ogni uomo, della corruzione spirituale che può tormentarlo e ossessionarlo.
Un folle idealismo decadente incontra Debussy e lo conduce all'inferno, ma la dannazione è sottopelle, fuori ci sono oro e diamanti, a tratti un sole radioso.
P.S.: ho trovato magistrale questa interpretazione di Vladimir Ashkenazy, di grande spessore psicologico, e mi sento di consigliarla senza se e senza ma, pur non conoscendone altre.
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