E la copertina sembra cogliere l'attimo di due viaggiatori del tempo trasportati in un luogo isolato da chissà dove. I due giovini hanno una macchina un po' più sofisticata e attenta al pudore: fornisce due belle paia di mutandoni ai viaggiatori, ma non passa nessuno snack rifocillante. Da lì gli sguardi "acciliati" dei traslati. Quella bella mutanda bianca di cui negli anni settanta usufruivo anch'io. Certe volte gli elastici stringevano, specialmente nell'interno coscia, ma come sapevano tenerti i coglioni a posto...
A proposito di questo, l'ora del coglione la passiamo tutti, e diverse volte nella vita. La mia in rapporto a questo disco racconta che un giorno mi ero rotto il cazzo di avere tutti quei dischi a casa. Anelando nettezza passavo uno dei miei periodi di pulizia interiore e affiancavo anche la pulizia materiale della serie "le cose che possiedi ti posseggono". E perciò l'obiettivo era dare una sfoltita agli LP e passare dai 500-600 che avevo a meno di cento, come prima azione. Avrei campato un po' di rendita portando il "malloppo" mano mano all'usato del negozio di dischi.
Fatto sta che porco zio anche questo disco che sto recensendo rientrò nell'epurazione con un'altra trentina che ancora mi mangio le mani. Poi in parte me li sono ricomprati, ma questo no. Passavo quella fase di secchezza ed ero sacrosantamente posseduto dal distacco da quello che desideravo: era un 'ndo cojo cojo, appunto l'ora del coglione. Fatto sta che qualche tempo fa trovo sul tubo che c'è tutto il disco e quando l'ho risentito mi sono ricordato tutti i pezzi e il piacere di sentirli, e sbottai inquadrandomi: che coglione!
La voce di Charly Brown è perfetta, bellissima su quei tappeti elettronici di Mike Reilly così inclassificabili, cadenzati dalla batteria di Debra Hanes: no guitars! Il disco (del 1982!) è gioioso ma al contempo inquietante, risultando surreale in diversi passaggi. La cristallinità di alcuni pezzi sembrano trasportarci in un Cotton Club degli anni venti di non si sà di quale millennio, un ovattato club synth, dove il revival è alieno.
Elettronica sognante (A.M. City, Follow Me Home), pop disturbante nella sua attrattività (Sally Go Round The Roses), cabaret minimale (Davi's Big Battle, Cheeno), canzoni apparentemente normali (Beatnik), cavalcate psichiche (Lost Adult, Voyeur), carillon californiani (Mama Made Me Do It), limpide ripetitività ossessive (Double Garage).
La finale Over And Over è di una bellezza un po' svogliata, ti dà l'idea di star seduti in veranda su una sdraio, dieci minuti prima del tramonto, presenti con se stessi nell'inevitabilità della domanda interiore: "Cosa ci aspetterà questa notte?" Vada come vada la noia dell'eternità non aspetta, i suoni della "fattoria" ci aiutano a mitigare l'attesa.
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