Parlare di un gruppo come i Voivod risulta sempre essere un poco rischioso, non tanto perché si potrebbero mai mettere in dubbio le qualità dei singoli musicisti coinvolti in questo progetto, bensì perché data la proposta musicale, ed in generale un po’ tutto il percorso intrapreso dalla band nel corso degli anni, ci si trova sempre un po’ spiazzati.
Partiti come gruppo thrash metal dalle influenze quasi punk, i Voivod (capitanati dall’immortale e mai troppo celebrato chitarrista Denis "Piggy" D'Amour) hanno saputo con il tempo coniugare questo loro stile scarno musicalmente, a ritmiche progressive, con l’inserimento di elementi cyber, che donano alle composizioni dei nostri un sapore futuristico: l’album che meglio rappresenta questo pastiche (pasticcio in francese, non sono diventato analfabeta :) ) è stato molto probabilmente il loro lavoro del 1989 chiamato “Nothingface”, il quale già dalla copertina, rappresentante il volto di un aneroide (robot??) circondato da dei “tubi”, ci da subito la sensazione di novità: novità poiché risulta ad oggi, ancora pressoché impossibile catalogare questo capolavoro all’interno di un genere predefinito, dal momento che è thrash si, ma anche progressive, psichedelico ed è stato la base sulla quale lavorare per molte band di cyber-thrash arrivate sul mercato nel corso degli anni.
Dal punto di vista musicale, “Nothingface” propone dei riff ben definiti, ma mai troppo metallici, con delle soluzioni melodiche che contribuiscono in maniera determinante a dare quel tocco di “spaziale” al disco, specialmente grazie agli assoli di Piggy, aiutato però da linee di basso da togliere il fiato; per quanto riguarda invece la sezione ritmica Thèriault e Langevin, prediligono tempi abbastanza essenziali (eccezion fatta per basso rispetto a quanto scritto in precedenza per le linee melodiche), scarni alle volte, ma nei momenti in cui i nostri tessono delle musiche più complesse, ecco qui che questo duo ritmico si mostra capace di tirare fuori delle basi ricche di cambi di tempo, sostenuti anche ad alta velocità. C’è la voce poi, e che voce: Snake risulta a tratti essere proprio il valore aggiunto della band, capace di spaziare con estrema facilità da toni alti a bassi, dimostrandosi anche grande interprete (notare la cover dei Pink Floyd in “Astronomy Domine”, nella quale il nostro cantante da il meglio di se).
Il cyber thrash base del disco mette poi in luce, durante l’ascolto, le varie tracce tutti gli altri aspetti della musica voivodiana, come si può notare nella prima track, “The Unknown Knows”, tipica mazzata thrash con alcune incursioni punk e progressive, o ancora la già citata “Astronomy Domine”, dotata di un piglio psichedelico di grande effetto e delle vocals che sembrano esser state filtrate, che donano maggiore spessore al pezzo. Altra canzone da dover citare risulta essere il pezzo di chiusura, “Sub-Effect”, sicuramente base per moltissimi dei gruppi techno e thrash che sono seguiti ai Voivod (quasi impressionante, sembra di essere davanti al primo germoglio di bands quali Spiral Architect, ma anche a bands quali Meshuggah o i Mnemic meno basati sulle parti core).
“Nothingface” oggettivamente non è un disco adatto a tutti, dal momento che i nostri canadesi sembrano divertirsi a sconvolgere il più comune concetto di canzone, e più in generale quello di musica, ma ciò nonostante riescono, dopo ripetuti ascolti, a diventare estremamente trascinanti e perché no, anche divertenti.
Per quanto riguarda i temi trattati nelle canzoni, i nostri passano da temi astratti e riguardanti la psiche (“Into My Hypercube” ne è esempio lampante), ad altre più improntate su temi futuristici, ma tutti i testi restano comunque avvolti in un alone di “mistero” risultando molto spesso impenetrabili e di difficile comprensione.
Per concludere ci troviamo davanti ad un disco estremamente complesso, sia dal punto di vista tematico che musicale; il lavoro compiuto dalla band risulta essere sempre di livello eccelso, estremamente preciso e tecnico, ma mai troppo esibizionista.
Un capolavoro dunque, che ad oggi sembra essere ancora solo nel panorama musicale e che ha un posto assicurato nell’olimpo dei capolavori metal, dove mi spiace, ma non tutti possono entrare.
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