Il corposo progetto Voo Doo Phunk, con un gradevole mix di downtempo, fusion, reggae e nu jazz, rappresenta ad oggi una delle numerose realtà made in Italy rimaste nel più completo anonimato in un paese dove i "talentuosi" Marco Carta, Giusy Ferreri e Bastards Sons Of Dioniso di turno si contendendono i primi posti delle charts, a discapito di chi magari il talento lo possiede per davvero.
Con numerose apparizioni in compilation del settore e 2 album passati quasi inosservati in Italia, vanno fatti i dovuti complimenti al collettivo nostrano che, con il debutto "Lionize", [Irma Rec. 1999], concepisce un lavoro di indiscussa qualità, ad oggi annoverabile sul capitolo "rarità discografiche italiane"!
Rarità che vale certamente la pena reperire, infatti dall'ammaliante cover dub della Marleyiana "Exodus", al fascino squisitamente noir di "Blue Shot", per passare alle tinte reggae di "Irie Shot" e la sorprendente "Lion", sono molti gli argomenti che ha da offrire questo platter, avvolto com'è da quell'inquietante e mai troppo nascosto mood hypno-dark (sempre ben accetto sul genere), che trova terreno fertile su "Muse", la breakorientaleggiante "October" e "Acholi Shot" (non passa inosservato il lavoro del percussionista Leonardo Di Angilla).
Molto presente la componente funky : "New Love" scomoda gli Headhunters di Straight From The Gate, risulta piacevole il susseguirsi di cantato maschile e femminile; "Do It Again" riprende il noto successo degli Steely Dan, adattandolo ad un elegante versione elettronica, mentre la coinvolgente "Hutch" sembra uscire direttamente dalle serie poliziesche anni 70 (qui è apprezzabile il lavoro al sax di Luca Toso, strumento che apparirà più volte all'interno del disco). Non deludono le tracce jungleggianti "Yidaki" e "Journey's Journal", traccia rappata quest'ultima, che risente parecchio della lezione di mostri sacri del calibro di Sofa Surfers e Thievery Corporation.
Tra gli episodi più riusciti troviamo invece "Dreamer", suadente trip hop avvalorato dall'insolito uso del vocoder, che conferma le ottime credenziali di un progetto sempre pronto a nuove soluzioni, che sa agire su più fronti, senza mai concedersi ad eccessive cadute di tono. Nota a parte va fatta per l'egregio apporto al microfono di Daniele Concina e Deborah Gitani, che mettono al servizio del team le loro splendide e mai invadenti voci dall'animo black (malleabile e potente quella del primo, delicata e sensuale quella della seconda).
Una piccola perla che dimostra che anche l'italietta, malgrado la minore pubblicità di cui gode il genere, può competere con le grandi capitali del nord in quanto a certa downtempo.
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