"Words Of A Mountain" è un album che non ha paura di suonare sintetico e cheesy, ma anche squisitamente delicatamente impressionista, e fa dell'artificialità del suono la sincera cifra stilistica che lo differenzia da molti altri tentativi di ambient di stampo neoclassicista di fine '80. Ma non è solo quest'estetica, più vicina ai primissimi esperimenti di musica elettronica e alla library music europea che ai suoi "fratelli di genere", che lo rende così dannatamente interessante perché questo lavoro del tastierista/sessionman di origini parigine Wally Badarou è carico di atmosfere misteriose, incorporee, mistiche, glaciali e perché no quasi etnologiche, a tratti.
Badarou, che ha lavorato con tantissimi gruppi e artisti -tra cui i Level 42, gli M (quelli di "Pop Music") e Harbie Hancock (che di tastiere se ne intende, eh!)-, rivela qui una capacità compositiva che va ben oltre i canoni della musica elettronica propriamente detta ma si avvicina di più, nel suo piccolo, alle composizioni dei virtuosi del 18esimo e 19esimo secolo, almeno nell'approccio alle melodie e alle armonie se non anche nei risultati finali della musica scritta sullo spartito. Se già con il suo primo sconosciutissimo lavoro solista "Back To Scales To-Night" del 1980 Badarou aveva dato dimostrazione di versatilità e modernità, dando vita ad un funk elettronico a metà tra l'Hancock più disco e i superpoppissimi Imagination; sarà la sua virata netta verso la musica strumentale, prima approcciandosi a modelli più danzerecci con "Echoes" e poi alle colonne sonore, a mettere in luce quelle potenzialità che a mio parere si consacrarono definitivamente solo qui nel 1989, alla fine della sua carriera solista, come il canto del cigno di un cammino quasi tutto in salita (egli riappare nel 2001 per un'istante e scompare di nuovo).
Il "concetto" alla base del disco è la rappresentazione in musica di varie ambientazioni montuose sparse per il mondo, una sorta di pretesto per presentare un piccolo Global Village musicale, non indegno dei canoni della Fourth World Music ma più squisitamente romantico e ingenuo nel contenuto.
Rumori naturali e pluck freddi si intrecciano a presentare l'assoluta tranquillità appartata delle montagne, in armonie cariche di gioia disperata e di tensione calma. Badarou come un trapezista esperto riesce ad evitare le risoluzioni melodiche scontate, se non assolutamente necessarie, e proprio per questo motivo nulla di questo soprendente album suona di già sentito.
E dentro LP c'è davvero di tutto, si parte dal potente pianoforte di "Leaving This Place" dalle tinte leggermente Jarrettiane di "Koln Concert"; si continua con angoscia lieve di "Vesuvio Solo"; si arriva all'africanismo quasi caraibico di "The Feet Of Fouta", che da un momento all'altro diventa immateriale e sognante. C'è "Ayers Rock Bubble Eyes" che inizia tutta da piangere e poi arriva alle epicità di Vangelis. Se poi c'è in chiusura una ballata short and sweet come "Words Of Grace", il cui titolo dice già tutto, non si può fare a meno di definire "Words Of A Mountain" come di un tenue innocenete capolavoro ambient. Una fanciullesca lettera d'amore al pianeta Terra. Un sussurro dimenticato dal tempo. Un attimo di pausa solitaria.
Un gran bel album, tutto sommato.
Carico i commenti... con calma