A chi non conoscesse i Waltari, verrebbe senz'altro utile un riferimento al personaggio con il quale il progetto in questione condivide il nome ed altre importanti analogie: Mika Waltari, scrittore dallo spirito avventuroso, proveniente dalla gelida Finlandia. Un gelo che non sembra però impedire loro di sprigionare energia da ben due decadi, fronteggiati dal funambolico cantante-bassista Kartsy Hatakka, compositore dalle tendenze schizofreniche (musicalmente parlando, s'intende) e dalle mille risorse, e contando tra le varie line-up susseguitesi nel tempo la presenza di musicisti preparati tra i quali membri di Kreator, Stone e Children Of Bodom. 

Nel corso degli anni, tra i lavori della band si contano innumerevoli quanto pregevoli sperimentazioni e progetti più o meno folli, il tutto confluito nella fatiscente struttura, cara agli anni Novanta, di un cross-over grintoso ed esasperato, dalla fantasiosa vena avanguardistica, come Faith No More e pochi altri soltanto ci avevano abituati; questo è il primo nome che viene in mente, nonostante l'accostamento sia valido più che altro a livello concettuale. Sono lontane le calde atmosfere e il melting-pot sonoro dei californiani, oltre alla sfrontatezza del Patton che fu; siamo invece qui di fronte a un song-writing più compatto, coeso, temprato, solido, che giustifica senz'altro la provenienza dei finnici, e in certi casi a un'atmosfera quasi da colonna sonora (esperienza quest'ultima già intrapresa da Hatakka). 

Tra contaminazioni di punk, rap, techno e quant'altro, sinfonie death metal, fusioni di hard rock elettronico e folk scandinavo, si trovano lavori di notevole personalità e dal sound originale quanto inconfondibile come "Big Bang", datato 1995. Lavoro questo caratterizzato da un validissimo livello di composizione, nonostante la carne al fuoco sembri talvolta debordante: a momenti più pesanti e diretti ("Sensitive Touch", "Showtime", la quale così come altre tracce si avvale della collaborazione dell'allora cantante degli Amorphis, Tomi Koivusaari) se ne alternano altri dal gusto più pop, come ben esemplificano i ricercati arrangiamenti, la melodia accattivante e i ritornelli orecchiabili di canzoni quali "Atmosfear", dal gusto molto elettronico, "The Stage", la particolare "On My Ice", introdotta da un malinconico pianoforte e sorretta da riff potenti e dalla versatile voce del vocalist, qui dai toni particolarmente struggenti. Non mancano episodi decisamente più sperimentali, come il death metal-funk di "Color TV", o l'incedere hardcore che sfocia nei cori "yoik" di "Jankha", e talvolta più progressivi, come è il caso di "One In The Line". Il tutto, val la pena di ripetersi, sprigionante notevole energia e caratterizzato da non poca dinamicità.

Non si tratta certo di un disco immediatissimo nè facile: la proposta è davvero particolare e, tuttavia, una volta assimilata, piacevole e divertente, sebbene inizialmente la sensazione sia quella che il divertimento sia stato più che altro quello di chi ha composto l'opera, che qui come nel corso della propria carriera non ha lesinato la propria follia creativa. Sarebbe lecito domandarsi come mai quella dei Waltari sia materia allora e tuttora sconosciuta ai più, quando avrebbe senz'altro meritato spazio più ampio nel territorio musicale "alternativo", come dimostra l'ora abbondante di genio, sregolatezza e ottima musica che è questo "Big Bang"

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