I primi dieci minuti sono un tripudio di sirene e luci lampeggianti delle auto della polizia nella notte di Los Angeles all'inseguimento dell'auto dei banditi che hanno appena rapinato il casinò. Allora è uno di quei cosiddetti car -chase film? Non è così semplice.

Walter Hill nel 1978 è soprattutto uno sceneggiatore e assistente alla regia di film importanti quali "Bullit" di Peter Yates e "Getaway" di Pekhinpah, è chiaro quindi che la sua predilezione va al genere poliziesco. Ma "The Driver" è qualcosa di più: è un esercizio Zen.

Lo è già dalla individuazione dei protagonisti che non hanno un nome proprio ma sono simbolicamente indicati come the Driver (Ryan O' Neal), the Detective (Bruce Dern), the Player (Isabelle Adjani). E così la figura del Driver è assimilabile a quella di un ronin, un imperturbabile samurai senza padrone (..niente amici, niente lavoro fisso, niente ragazze, vivi con pochi soldi, non fai domande...bravo, hai ridotto tutto all'essenziale), talmente bravo nel guidare le auto che è conteso a suon di bigliettoni dai criminali che intendono fare il colpo grosso e poi svignarsela.

Ryan O' Neal è grandioso, in tutto il film pronuncia appena 350 parole, recita con gli sguardi, i silenzi, nessun movimento improvviso o inconsulto, pienamente padrone di se stesso. Incastrarlo per il Detective diventa un'ossessione e una sfida, per dimostrare quant'è bravo nel suo lavoro fatto dalla parte dei buoni e che quindi è "superiore" ad un delinquente. Il suo problema sta nell'essere invece uno sbruffone che straparla, che non ha paura di giocare sporco e per questo perderà. C'è una scena nella quale va trovare Driver nel suo appartamento, cerca di intimidirlo facendo la parte del dominatore, ma dai suoi occhi che si abbassano alle poche parole dell'altro si capisce chi è il vincente.

La giocatrice si trova coinvolta perché ha visto in faccia il guidatore durante la fuga, ma fa finta di non riconoscerlo e lo aiuterà nel seguito del film (ma è così?): anche lei è di poche parole, segnata da chissà quali esperienze nella vita. Purtroppo la performance della Adjani non è pari a quella di Ryan O'Neal, ha una sola espressione che porterà stampata sul volto per tutto il film. La notte, le fredde luci al neon, l'asfalto bagnato, i bar di terz'ordine sono lo scenario inevitabile per un uomo solo che non ha uno scopo, che guadagna grosse cifre ma che vive in una squallida stanza di motel con l'unica compagnia della malinconica musica country da un piccolo registratore..

Gli inseguimenti tra le auto sono tecnicamente perfetti, ma le scene più belle sono quelle girate al chiuso. La prima in un immenso garage deserto con il Driver che mostra com'è bravo ai criminali che lo vogliono per una rapina alla banca (tranello ideato dal Detective); praticamente demolisce la loro fiammante Mercedes rossa con classe, strisciando lungo i muri per tranciare gli specchietti, scardinare le portiere, strappare i paraurti, come un pistolero che ridicolizza l'avversario sparandogli alla cintura per farlo rimanere in mutande. L'altra è girata in un vecchio deposito di container ai docks: una claustrofobica "partita a scacchi" tra due auto fatta di piccoli avanzamenti, retromarce, staccate al limite, motori al minimo pronti per dare gas.

Come un Carver prestato al cinema, Walter Hill taglia i comportamenti fino all'osso, ma per noi spettatori c'è molto da spolpare.

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