Certi film hanno il pregio non solo di rievocare episodi del passato , ma anche di rappresentare un monito per il presente e per il futuro. È proprio il caso dell'ultima opera di Walter Salles (autore di titoli importanti come "Central do Brasil", "I diari della motocicletta"), che con "Io sono ancora qui" ci riporta ai tempi in cui in Brasile vigeva una dittatura militare, durata dal 1964 al 1985.

Nello specifico, la pellicola parte dal libro biografico "Sono ancora qui" di Marcelo Rubens Paiva, figlio di Rubens Paiva. Costui fu non solo un ingegnere, ma ricoprì anche la carica di deputato del partito laburista brasiliano, prima che alcuni alti ufficiali dell'esercito carioca prendessero il potere nel 1964 per stroncare ogni velleità progressista nella politica locale. I golpisti in questione adottarono metodi repressivi subdoli: in quel periodo in Brasile la vita quotidiana poteva trarre in inganno un osservatore straniero, in quanto un certo benessere investiva sia la classe media, sia l'alta borghesia e non mancavano manifestazioni artistiche legate alla musica e non solo (come si sarebbe potuto proibire il carnevale di Rio, tanto per dire?). Ma dietro la rassicurante e stordente apparenza, non potevano proprio dire di passarsela bene i meno abbienti (le favelas non erano poi così invisibili), nonché i dissidenti e i sindacalisti. Per queste categorie di persone, il regime andava per le spiccie e bastava poco per venire fermato e scomparire nei meandri della macchina repressiva ( i desaparecidos non furono un'invenzione successiva delle dittature in Cile e Argentina).

Se questo è il quadro storico generale del tempo, il film illustra perfettamente e fedelmente la vita abbastanza serena della famiglia dell'ex deputato Rubens Paiva, con 4 figlie e un figlio, oltre ad una moglie brillante. Loro cercano di non prestare tanta attenzione alla vita circostante in Brasile fra la fine del 1970 e l'inizio del 1971. Ma c'è sempre la preoccupazione che la figlia maggiore non frequenti compagni universitari non proprio soddisfatti del vigente regime. E mentre non mancano turbolenze politiche varie nel Brasile del tempo, non è proprio detto che Rubens Paiva non abbia rapporti con conoscenti di orientamento avverso al regime e, per quanto ciò non comporti che l'ex deputato sia equiparabile ad un terrorista, basta però a farlo ritenere elemento altamente sospetto per le autorità. E un brutto giorno, alla porta di casa busseranno tre agenti in borghese che lo inviteranno a seguirli per una fantomatica deposizione al commissariato.

Questo evento, dai modi felpati e sospetti se si tiene conto che uno dei tre si qualifica come "laureato in parapsicologia", squarcia il tran tran quotidiano della famiglia Paiva. Non solo anche la moglie Eunice e una delle figlie dovranno recarsi al commissariato per un interrogatorio durato qualche giorno, con tanto di forzato soggiorno nelle celle attigue alla centrale di polizia, ma una volta rilasciate dovranno constatare che non v'è più traccia del capofamiglia Rubens Paiva. Ovviamente sparito e quel ch'è peggio neppure la polizia può e vuole dire qualcosa al riguardo.

A fronte di cotanto evento drammatico, la reazione della moglie Eunice è improntata ad una grande forza d'animo. Tiene la barra dritta in una famiglia vivace, decide di lasciare Rio de Janeiro e trasferirsi a Sao Paolo, ove completerà gli studi in giurisprudenza sia per scoprire l'amara verità sulla tragica sorte del marito, sia per battersi per la causa dei diritti civili delle popolazioni amazzoniche. Sarà solo nel 1995, anni dopo la fine della dittatura dei cosiddetti"gorillas", che il governo brasiliano certificherà la morte di Rubens Paiva due giorni dopo il suo prelievo da casa . Un amaro epilogo di una tragica vicenda.

Uno dei punti di forza dell'opera è senz'altro costituito dalla magistrale interpretazione di Fernanda Torres, candidata all'Oscar come migliore attrice principale, che da risalto ad una figura femminile che non si perde d'animo in un pesante punto di svolta nella vita e non si fa intimidire da scherani di un potere disumano e violento. A conferma che si può riuscire con coraggio a fronteggiare e contenere il male.

Per tutti noi, spettatori di un film così intenso, la testimonianza non solo di vicende purtroppo verificatesi, ma come scrivevo in avvio di recensione il monito per i tempi correnti e futuri. Le libertà democratiche possono sempre essere rimesse in discussione, in modi anche obliqui. E guarda caso, quando in Brasile ci fu recentemente il governo di Jair Bolsonaro, questi ebbe a sostenere che gli anni della giunta militare non erano stati così male. E Bolsonaro è pure amico di un certo Donald Trump, non so se spiego...

Carico i commenti...  con calma