I Wand non sono esattamente una band particolarmente celebre e specialmente nella vecchia Europa, eppure hanno tutte le carte in regola date le sonorità proposte, per potere essere presi in considerazione da una fetta di pubblico ben più ampio.

Il nuovo disco del quintetto di Los Angeles, California è uscito via Drag City lo scorso 22 settembre e si intitola 'Plum'.

Anticipato da due singoli, la title-track e 'Bee Karma', il nuovo disco (il quarto LP in studio) di Cory Hanson (reduce peraltro dalla pubblicazione del suo primo disco solista, lo scorso novembre) e compagni (Sofia Arreguin, Evan Burrows, Robert Cody, Lee Landey) costituisce un superamento definitivo di quelle sonorità garage e psichedeliche che avevano inizialmente fatto considerare la band come uno dei tanti fenomeni che avevano seguito il boom di artisti come Ty Segall e Mikal Cronin.

Sicuramente permangono nel DNA della band quelle tracce garage e quell'orientamento originario e che ne ha dettato la direzione nei primi passi, ma qui ci troviamo di fatto a qualche cosa di diverso: il songwriting di Cory Hanson è più maturo, le sonorità sono generalmente meno aggressive e gli arrangiamenti più studiati e i riferimenti nel complesso più che essere ricercati negli artisti già menzionati oppure in band psych come gli Thee Oh Sees, vanno invece a un certo pop-rock più intellettuale tipo Wilco. Senza considerare i riferimenti a un certo pop-rock di matrice britannica a partire dai Beatles e fino ai Radiohead di Thom Yorke e i Blur di Damon Albarn.

Effettivamente questo qui sembra proprio un disco prodotto da Nigel Godrich e in questo senso riprendere sonorità pop-rock alternative degli ultimi venti-trent'anni. A partire dalla title-track che ricorda il songwriting di un certo Paul McCartney (quello di 'Chaos and Creation in the Backyard') e con degli arrangiamenti a metà tra quelli dei Pavement e fascinazioni da brit-pop in stile Blur. 'Bee Karma' è una canzone pop-rock con un riff tipicamente made in UK anni novanta, una freschezza tipicamente Blur e continui cambi di accelerazioni che ricordano alcune proposte Radiohead da 'Ok Computer' oppure 'The Bends'.

Una certa vena malinconica, plumbea, permea le tonalità del disco in tutti i suoi episodi e in quelle che possono essere ballate come 'Charles De Gaulle' e una pop psichedelia che riprende arpeggi nello stile dei Pavement e atmosfere sixties tipo Rolling Stones più sperimentali.

'High Rise' è una traccia strumentale che sembra essere stata concepita da Jonny Greenwood; 'White Cat' sono i Radiohead di 'Bodysnatchers' shakerati con spruzzatine di 'Sgt. Pepper'

'The Trap' mostra ancora la grande sensibilità di songwriter di Cory Hanson: qui le distanze da un sound tipicamente garage si evidenziano ancora più marcatamente. Siamo davanti a una ballata pop-folk particolarmente sofisticata e malinconica con arrangiamenti in crescendo e l'uso reverberato dei cori che fanno da contraltare al suono dei synth e della steel-guitar.

'Ginger' è una specie di out-take strumentale Pavement estratto da 'Crooked Rain Crooked Rain'; 'Blue Cloud' è una canzone de i Wilco con delle componenti Stephen Malkmus dalla durata di quasi otto minuti e che con la conclusiva (altri sette minuti) 'Driving' costituisce il momento più alto del disco e quello dove i Wand dimostrano di avere completamente abbandonato la dimensione garage e più minimalista e di essere lontani anche da un certo psych.

Cory Hanson e i suoi compagni invece qui si propongono come i continuari di una tradizione alternative Made In USA cominciata negli anni novanta con i Pavement e continuata con band come The Shins e Wilco. Diciamo che forse non sono particolarmente originali ma se il cosiddetto 'indie rock' doveva andare a finire da qualche parte, questa qui mi sembra la direzione giusta e nella pratica se questo disco qui fosse uscito tipo quindici oppure vent'anni fa, probabilmente alla fine dell'anno tutti quanti lo avrebbero inserito in cima alle loro 'classifiche' di gradimento.

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