A volte l'impulso a scriver su qualcosa in particolare nasce da ciò che meno t'immagini.
In questo caso, nasce da molto lontano.
Qualcuno ricorderà Tina Aumont. Non molti, magari. Ma qualcuno sì. Lo immagino, o almeno lo spero.
Tutti hanno le proprie attrici, in mezzo alle tante conosciute attraverso uno schermo. Ebbene, Tina Aumont è stata e rimane una delle mie. Forse la mia in assoluto, dovessi fare uno e un solo nome. Non intendo certo la più grande, o cose del genere. Intendo la più conturbante, la più sensuale, la più magnetica. E non per far lo speciale o tirar fuori un nome un po' meno noto per il gusto di farlo.
Una che non tanti ricorderanno, sì. Spesso ricopriva ruoli secondari. Ma Una che aveva..sapete, quell'indefinibile nonsoché in più che la rendeva diversa. Irresistibile. Tinto Brass, che la diresse nello strambo-ipercensurato L'urlo, la definì: "probabimente la più bella con cui abbia mai avuto a che fare".
Eppure, nemmeno il Sommo Intenditore seppe trovar le parole appropriate. Non era semplice bellezza, quella che poteva giustificare cotanta definizione. Era altro. Ma inesprimibile a parole.
Ora: succede che poco tempo fa trovo in rete un video su Tina Aumont nel Satyricon. Non quello di Fellini, quello di Gian Luigi Polidoro. Quello con Tognazzi nei panni di Trimalchione. Tina era Circe, in quel film. Me lo ricordavo bene. Però in sottofondo partiva una musica che non era quella originale del film - ma un'altra, che pure mi suonava ancor più familiare. Erano i Wapassou, ed erano suoni - non mi spiego come, ma così era - che entravano in seducente consonanza con quelle scene. Strano ma riuscito abbinamento.
"Wapassou... chi eran, costoro...?"
E per quello strano caso mi tornò alla memoria il qui presente disco, ascoltato anni prima in un periodo d'infatuazione per la "sacra profanata". Un periodo in cui ricorrente era la tentazione di sorbirmi più d'una Messa elettrica a settimana, e non solo di domenica: quella in FA minore degli Electric Prunes (ricordate il Kyrie Eleison di Easy Rider...?); quella parigina-avanguardista dell'impensabile sodalizio Spooky Tooth/Pierre Henry...
...e appunto: la Messa in RE minore dei Wapassou. 1976. L'inizio di una trilogia che si completerà coi successivi Salammbo e Ludwig: un roi pour l'éternité. Trilogia su vita, morte e, appunto, tempo eterno.
Loro erano di Strasburgo. Francia, ma Alsazia. Quindi, la Germania a due passi. E si sente. Anche se dire in due o tre parole che musica facessero i Wapassou non è poi così semplice. Qualcuno disse: "indefinibile. O semmai, suoni d'una bellezza austera, per chi ama lasciarsi trasportare". Io non direi trasportare. Io direi: irretire. Ammaliare. Ipnotizzare.
Va da sé che risolver tutto con belle (fredde) definizioni pre-confezionate del tipo avant-prog e simili equivale a spogliar certi suoni del loro inafferrabile mistero infinito. Togliamoci comunque un dubbio: rispetto all'omonimo Wapassou di due anni prima, qua c'è davvero poco di riconducibile al Rock. Non al "Rock" in senso stretto, ma forse nemmeno in senso lato. La Messa fa addirittura a meno della batteria, e sono solo in tre: Freddy Brua (La Mente che ha ideato il tutto) alle tastiere e ai synth, Jacques Lichti al violino e Karin Nickerl alle chitarre.
Più la voce di un soprano: Eurydice. Così fedele al suo nome che sembra canti dal Regno dei Morti.
Una sola traccia in più movimenti, per quasi 40 minuti. Molto oldfieldiana, l'idea. Se non fosse che ovunque aleggia quel senso d'insofferenza a generi e categorie che in area franco-germanica aveva contagiato in parecchi. Non è un caso che certe strane movenze del violino (provate a infilarvi fra il 13esimo e il 15esimo minuto) suonino come sinistri presagi di un qualcosa di anomalo. Qualcosa di più vicino a certo RIO di anni a venire che non al Pop sinfonico che simile contesto liturgico avrebbe prediletto. E l'austerità di cui sopra è tutta nelle complicate costruzioni chitarra-Farfisa e synth-violino - paragonabili al più ardito Jean-Luc Ponty...? Si, al limite - se non per quei vocalizzi che si sovrappongono, sottilmente inquietanti. E sarà sorpresa doppia, nel cogliere passaggi arabeggianti a un tre quarti circa dell'opera.
Ma... il RE minore del titolo...? Semplice spunto per sviluppi (FUGHE) a iosa. Eppure, mai inutilmente virtuosi. Troppo vari da raccontare in parole, troppo complessi perché una descrizione possa almeno in parte sostituirsi ai suoni. Suoni tanto evocativi, per giunta.
Se Eno concepì la musica per aeroporti, i Wapassou concepirono una musica per abbazie. Severa, tetra, arcana. Ma capace di osare, di sperimentare. Di non fermarsi alla solita bella esposizione di suoni e strumenti. Disegnando mondi, lasciando segreti turbamenti dietro di sé.
Non amerò mai questa Messa al pari della mia prediletta e compianta Tina Aumont.
Ma entrambe hanno in comune quel nonsoché a cui le parole non arrivano.
Quel qualcosa.
Mistero.
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