Questa collezione di tracce musicali è la prima di una trilogia (trilogia Runaljod) che dovrebbe essere interamente pubblicata nell'arco di due anni; le altre due raccolte si chiameranno, rispettivamente Yggdrasill e Ragnarok. Si tratta di un progetto musicale di "rilettura" della tradizione runica scandinava ideato, sviluppato ed infine portato a - per ora solo parziale - compimento da Kvitrafn (Einar Selvik), ex gorgoroth e già in numerose altre bands, con l'ausilio di Øivind (visual e web designer) di Lindy Fay Hella (voci, percussioni), Hallvard Kleiveland, (voci, strumenti vari) nonché Gaahl, accreditato ufficialmente alle voci ed alla consulenza concettuale ("conceptual contributions"); a Gaahl afferiscono molti dei vocalismi di varia natura emessi in alcune tracce.

Il coming out di questo "disco" non è stato preceduto dalla solita gazzarra che anticipa progetti di lunga gestazione (questo è stato concepito nientemeno che nel 2002) realizzati da artisti di diversa estrazione e già appartenenti a diversi ensembles, per di più celebri; piuttosto, esso è stato preannunciato da una serie di intelligenti anticipazioni. Ho scovato questo prodotto musicale in modo in apparenza casuale; in realtà, invece, vi sono stato gradualmente condotto, e ritengo anzi che dietro questa vera e propria "operazione commerciale" (nel senso tecnico e non dispregiativo-volgare dell'espressione) ci sia un'attenta e raffinata operazione di marketing e di promozione, veicolata, essenzialmente: a) per il tramite dell'ingombrante (ed eloquente, considerato il numero di interviste) presenza di Gaahl, in un periodo in cui, a seguito di alcune sue rivelazioni personali che qui non ci interessano, egli è - come non lo era da tempo - sotto "le luci della ribalta"; b) attraverso la creazione di una alquanto sobria, ma non per questo meno stimolante, aspettativa nella stampa specialistica; c) grazie alla realizzazione di un sito internet interattivo altamente elaborato e  programmato sapientemente, dove è possibile lasciare messaggi in un intuitivo guestbook, conoscere news e curiosità, e persino acquistare costosissime rune incise su denti di cervo, ciondoli porta-fortuna, pendagli ed altre amenità; d) infine, dalla commercializzazione di un gradevole digipack, suggestivo quanto basta ed in linea con il trend estetico scandinavo convenzionale da ormai due decenni.

Questo preambolo di carattere non specificamente musicale era necessario come presentazione ad un prodotto in sintesi affatto originale, che non mancherà di stupire, affascinare ed insieme lasciarsi godere dagli amanti della buona musica di varia provenienza e formazione. 

Se dovessi lasciarmi andare alla solita, legittima "scelta dell'etichetta di genere" come momento preliminare all'analisi dei contenuti, direi che ci troviamo di fronte ad un esemplare esperimento di ambient-folk, nonostante la definizione sia per certi versi riduttiva ed approssimativa (ma, dopotutto, quale definizione non è tale?). Si potrebbe forse usare la denominazione di Post- o Neo-folk, che per molte ragioni non sarebbe sbagliata, ma essa ha ormai un suo specifico campo di applicazione nel quale, di fatto, non si può situare il progetto Wardruna.

Le dodici tracce di questo primo capitolo sono organiche e coerenti fin quasi all'omologazione, un effetto chiaramente ricercato che mira ad aumentare la sensazione di "ancestralità". Le tecniche principalmente utilizzate per raggiungere questo risultato sono quelle della reiterazione vocale e della formularità "rituale" ripresa da una certa vulgata sulle tecniche estatiche sciamanistiche, come quelle del cantato modulato o quelle dei mantra e del canto-respirazione circolare, che nell'immaginario collettivo occidentale sono decisamente legate alla sfera sacrale, magari con sfumature orientaleggianti. L'effetto ieratico è ancora più palese nei cori, negli echi e nelle risonanze, e risulta anche da un magistrale uso di percussioni in tempi quasi sempre cadenzati e dall'uso di strumenti dalle timbriche alquanto grezze, che ben si conciliano con l'"immagine" di primitivismo sciamanico e tribale, ricercata fin quasi al confine con il pacchiano. Le melodie sono tutte relativamente semplici, ma gradevoli, mai barocche, mai scontate. Della "forma-canzone", delle sue strutture, dei suoi tempi, non c'è neanche l'ombra. I ritmi sono ben congeniati, anche se un po' ripetitivi, soprattutto nella dodicesima traccia, certamente la meno studiata e la più accattivante. In realtà è proprio il ritmo a costituire la spina dorsale che regge l'intera struttura sonora, dando movimento e vita o, al contrario, quiete, a seconda del caso specifico, suscitando aspettative o accompagnando gli altri strumenti fino alle battute conclusive, spesso sviluppate in sapienti code in  crescendo di versi rumori voci e suoni (si ascolti, ad esempio la traccia n. 6). La varietà degli stessi strumenti è poi considerevole: tamburi di pelli di povere bestie scuoiate all'uopo, sonagli, nacchere e quant'altro di percuotibile o dimenabile; tra gli strumenti tonali, invece, spicca un sempre arrogante "scacciapensieri" (lo stesso della tradizione siciliana, secondo alcuni etno-musicologi importato effettivamente dai normanni [Nordmann: Norvegesi] durante la colonizzazione dell'XI secolo), vari strumenti a corda ed a fiato artigianali, campionamenti di suoni naturali, e rumorismi di vario genere, mai fuori luogo e mai invasivi (nulla à la Einstürzende Neubauten, per intendersi). Tra gli altri "strumenti non convenzionali", ad esser suonata in modo assolutamente magistrale è la voce. Al riguardo preciso che, oltre ai cori, alle tecniche vocali modulari ed alle oscure lamentationes hanno ruolo di lead voices una voce femminile, che però non interviene in tutte le tracce, ed una maschile, più presente).

Proprio per ciò che concerne l'ambito strumentale mi sembrerebbe conveniente aprire una parentesi: da quanto dichiarato in molte interviste e nello stesso libretto, la maggior parte degli strumenti sono stati fabbricati dagli stessi membri del progetto, o acquistati da artigiani locali ma comunque hand-made. L'uso delle tastiere è ridotto davvero all'essenziale, ed di in ogni caso queste vengono usate soltanto, eventualmente, per i "tappeti sonori": i pochi samplers utilizzati, ha affermato il lieader del progetto Kvitafn, sono stati interamente ri-programmati da lui stesso. È d'altronde sua anche l'intera direzione strumentale ed effettistica. Il suo strumento preferito, ha dichiarato in un'intervista, è il corno di capra di montagna norvegese, pagato in Corone norvegesi l'equivalente di 850 euri [!], ed il cui satiresco squillo è possibile apprezzare in varie tracce; in particolare, nell'intro e nell'ultima traccia, dove esso è accompagnato da improbabili cinguettii di uccelli: penso invece che al possente squillare di cotanto strumento gli uccelli siano soliti tacere terrorizzati, piuttosto.

È difficile rendere in parole le particolari sfumature descrittive evocate da questa musica, e, a ben pensarci, non esistono in generale molti termini in grado di esprimere "sensazioni pure". Giocando con le associazioni sinestetiche - mi si perdoni l'audacia - direi che questa potrebbe essere musica per un tiaso di  ragazze bionde vestite di pelle, alberi freschi e odore di muschio.

Non mi lancerò in comparazioni - le quali risulterebbero dopotutto totalmente gratuite - con altri gruppi o progetti "del genere" (ma poi, quale genere?); mi limito solo a segnalare ai lettori ammiratori di Dead Can Dance, Popol Vuh, nonché di certa cosmic o minimal-ambient meno becera (tipo Vinterriket, ma più che altro per filiazione ideologica) e della world-music stile Peter Gabriel di The Passion, che questo prodotto risulterebbe probabilmente alquanto gradito al loro palato. Anche coloro che apprezzano un certo folk molto raffinato potrebbero trarre grande piacere dall'ascolto di Gap Var Ginnuna, ma probabilmente, loro, il cd lo avranno già acquistato. Quanto agli estimatori di black, pagan o viking metal, è bene mettere in chiaro fin da subito che, al di là della presenza di Gaahl, delle chiare affinità di carattere tematico ed alla comune origine geo-culturale, in quest'album non c'è alcun legame o riferimento diretto a detti generi.

Operazioni come questa fanno riflettere sulla natura della musica c.d. underground, commerciale, indipendente, alternativa, "di nicchia", o come altro si voglia chiamarla, in un contesto come quello occidentale, ma anche sulle relazioni esistenti tra mercato musicale e determinate forme espressive, formative e performative che solo a costo di una certa approssimazione si possono ancora definire "musicali" tout court, quando invece rappresentano spesso vere e proprie iniziative intellettuali o addirittura, oserei dire, ermeneutiche. Di fatto alcuni dei partecipanti al progetto hanno rivelato in modo più o meno coerente e sistematico le loro attitudini non solo musicali, le ragioni di una scelta così radicale e pregnante, il significato quasi "iniziatico" che questo lavoro ha avuto per loro, seguendo una prospettiva culturale non lontana (se non decisamente convergente) da quella delle varie comunità neo-pagane o magistiche del genere Wicca, Àsatrú, odinismi vari, etc. Nell'approccio ad un lavoro di questo tipo, è ovviamente auspicabile tenere in debito conto queste suggestioni, e malgrado ciò possa costituire, al giudizio del fruitore, tanto un elemento favorevole quanto decisamente trascurabile dell'intero progetto. Non entrerò neppure nel merito delle considerazione storiche e storico-religiose che sono evidentemente alla base dell'"ideologia" degli autori. Mi limito a proporre due considerazioni interdipendenti: a) per numerose ragioni che non è ovviamente il caso di abbordare in questa sede (ma chi è interessato a conoscerle può spedirmi una e-mail, gli consiglierò una ricca bibliografia al riguardo), le suggestioni così ben espresse da questa musica sono completamente errate da un punto di vista storico-musicologico, o meglio, esse non hanno un valore che trascenda o sottenda quello artistico; b) ergo, si guadagna molto a godere quest'opera come una liberissima interpretazione e soprattutto come il frutto di una bella sensibilità musicale e descrittiva. Il resto è immaginazione, e cioè la cosa più importante.

Per concludere, mi auguro che Gap Var Ginnuna non manchi di suscitare l'attenzione che merita, trattandosi di un prodotto altamente suggestivo, ben suonato, ben composto, ben ideato, e che, cosa ormai rara - più a causa della nostra sensibilità degradante che delle opere che ancora potrebbero tenerla desta -, è in grado di suscitare emozioni.

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