Nonostante i miei vicini siano convinti del contrario, non sono stato mai un grandissimo estimatore dell'heavy metal classico.

Non tanto per un fattore di immobilismo stilistico (legittimo e legittimato per generi come il prog e il punk che invece adoro), ne per una ipotetica mancanza di originalità (se dovessi ascoltare solo dischi totalmente "diversi", dovrei rinunciare al 95% della mia collezione) quanto per una carenza di personalità.

Questo discorso è ancor più vero oggi, all'interno della scena power dove la maggior parte dei gruppi è troppo impegnata a suonare alla velocità della luce per produrre apprezzabili variazioni di registro all'interno dello stesso disco o, addirittura, durante tutta la carriera.

Chiamatemi nostalgico, ma una volta il fenomeno era meno evidente. La rabbia punk dei primi Iron Maiden, l'incontro con il folk degli Skyclad, i bootleg di Rush e Pink Floyd sotto il letto dei Voivod erano le strategie vincenti per diversificarsi dalla massa, semplicemente guardandosi attorno.

Paradigmatico è il caso dei miei preferiti, i Warlord.

La band capitanata da William Tsamis e Mark Zonder esordì nel 1983 con "Deliver Us", doppiato l'anno successivo dall'altrettanto straordinario "...And The Cannons Of Distruction Have Begun " entrambi presenti in questo "Best" (con l'aggiunta di un inedito, "Mrs. Victoria"), che pertanto risulta il modo migliore per conoscerli.

Il gruppo di Los Angeles è stato ingiustamente paragonato ai più semplicistici Manowar, Cirith Ungol e Manilla Road per la componente epica della loro proposta. In realtà, pur operando negli anni 80, i Warlord avevano lo stesso approccio musicale dei grandi gruppi hard del passato.

Immaginatevi degli Uriah Heep "asciutti" grazie al dono della sintesi tipica di un gruppo eighties, o una band new prog rivisitata in chiave hard (la mia mente continua a pensare ai Pallas): questi erano i Warlord.
La forma canzone non è mai sacrificata alla tecnica, anche quando ci si imbatte in uno strumentale come "Soliloquy", dove la musica muta per gradi, senza bruschi scossoni, per non interromperne il pathos.

All'appello non mancano spunti folk ("Deliver Us From Evil", "Penny For A Poor Man"), accenni doom e l'ombra di qualche dimenticato gruppo progressive underground. Inutile parlare poi della speed "Child Of The Damned", capace di fare bella figura anche riproposta dagli Hammerfall. Le mie canzoni preferite sono "Aliens" e "Lost And Lonely Days", questa ultima dotata di una malinconia che, in altri campi, solo Caravan e Sad Lovers And Giants riuscivano a creare.

Cult band per eccellenza, la nostalgia per i Nostri fu colmata dalla reunion e dall'album "Rising Out Of The Ashes" del 2002, ma la magia era svanita.

Il loro suono fu riproposto dai Falconer, con successo, ma questa è un'altra storia...

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