Ai più attenti fruitori di musica e di riviste musicali non sarà sfuggita nel corso dell’ anno appena trascorso, la tragica vicenda di Warren Zevon e del suo “The Wind”, stampato per la Artemis Record nel 2003, appunto. Warren, storico cantautore di Chicago, dove nacque nel ’47, cominciò la lavorazione del disco nell’estate del 2002, passate poche settimane gli venne diagnosticato un cancro ai polmoni e pochi mesi di vita. Poteva abbandonare tutto, poteva cadere nello sconforto, poteva incidere un testamento musicale compassionevole, lo avrei capito e compatito. Ma non lo ha fatto, “ha scelto la strada più difficile e questo ha fatto tutte le differenze”. Ha deciso insieme al suo amico di sempre e produttore Jorge Calderon ( la cui intervista è oggi riportata dai principali mensili musicali, per la pubblicazione di un making of ) di continuare con la sua idea originaria.
Un disco forte e potente, di rock, folk e country, pieno di orgoglio e dignità. Questa sua forza e determinazione, lasciata in eredità al disco, mi hanno spinto a recensire e a consigliarvi questo disco. Confesso di non essere un fan di Zevon della prima ora, dell’ultima casomai, e che devo ringraziare una buona recensione ed il mio negoziante di fiducia per questa dolce scoperta di fine 2003. Inoltre non ho ancora ascoltato i suoi vecchi dischi ( difficile quindi farvi paragoni con opere precedenti ), ma mi sono documentato e amo visceralmente “The Wind”, spero questo basti per poter parlare con cognizione di causa e per trasmettervi almeno parte del mio entusiasmo.
La prima cosa che colpisce del disco è la ricca lista di amici che sono accorsi ad aiutare il Nostro, tra i più noti Springsteen ( strepitoso il suo assolo in “Disorder in the House” ), Jackson Brown, e Bob Thorton ( ma la lista sarebbe ancora lunga). Adoro la vitalità musicale dell’album, nonostante il country non sia proprio il mio genere, e comunque lo stesso spazio è riservato a tracce rock e ballate romantiche più folk. Allo stesso modo mi colpiscono allo stomaco le parole di Warren, mai tragiche, mai arrendevoli, cariche se mai di voglia di passare le ultime settimane normalmente, facendo ciò che ha sempre amato: buona musica.
“Normale” in circostanze del genere penso sia lo stato esistenziale più difficile da vivere, forse è questo il senso della traccia rock numero 8, potente e coinvolgente: “…Why leave now? Let’s party the rest of the night!...”. Tra le canzoni più belle si segnalano anche la cover di Dylan “Knockin’ on Heaven’s Door” e la ballata conclusiva “Keep Me in Your Heart”. Quest’ultima ospita l’unica commovente richiesta di Warren:
“Sometimes when you’re doing simple things around the house
Maybe you’ll think of me and smile…
keep me in your heart for a while…”.
Mi hanno detto, che nonostante i due Grammy non si tratta del disco più bello della sua carriera, per me merita comunque quella gloria che non ha mai richiesto alla storia, e come minimo ( seppur poca cosa ) le mie 5 stelline.
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