SOLO CON GLI OCCHI: NIENTE BOCCA NE' MANI, UN VIAGGIO IRREQUIETO NELLA SOLITUDINE UMANA.

Mi sembrava stupido pubblicare una recensione sul debutto di Wataya Risa ("Install", da cui è stato anche tratto anche il poco riuscito film omonimo) senza trattare qualcosa su questo secondo, essenziale romanzo: "Solo Con Gli Occhi", una storia ancora più profonda e realistica di quel piccolo manuale della perversione che è "Install".

Hatsu ha sedici anni ed è seducente, ribelle, ama stare fuori dal coro, ma è spesso stanca e a pezzi. Emarginata dal resto della classe, durante le ore di biologia, in laboratorio, a lei tocca sempre la sedia più brutta, composta di quel legno vecchio centinaia di anni, distrutto da tarme e dolori. Poi un giorno nota che anche un altro ragazzo è seduto su una sedia simile: Ninagawa, così si chiama, è timido e silenzioso e possiede un insana passione/ossessione per la modella locale.

Tra Hatsu e Ninagawa nasce, così, uno strano rapporto a metà tra l'amicizia e l'amore. Non è amicizia perché ogni tanto scoppia quella fiamma che spinge l'uno a lanciarsi nelle braccia nell'altro, ma il cui gesto viene subito frenato da quella strana ossessione del ragazzo che interrompe di netto quell'aurea di romanticismo e ricerca erotica. Non è amore, perché sempre a causa di questa ossessione i due vivono come isolati l'uno dall'altro, persi in un limbo vitale primo di vita. Il loro è un rapporto astratto, fragile, indefinibile. Vivono in una bolla di sapone e fanno fatica a comunicare.

Ancora una volta, la giovanissima scrittrice giapponese ci regala un romanzo vero e intenso, dove la sua penna traccia linee poetiche sui fogli bianchissimi, dipingendoli di grazia ed armonia. Ogni frase, ogni parola raccoglie una parte dell'anima della scrittrice, impressa in quel lessico così romantico e vivace, puerile e sensuale.

L'adolescenza viene descritta come una malattia, contagiosa e virulenta, che si sprigiona in nostalgia verso l'infanzia, quando si è più liberi, quando non esiste la vergogna e si può fare ciò che si vuole. Ci si può abbuffare di cereali al supermercato, ritenendola una cosa normale, si può danzare, infilare i piedi nelle pozzanghere senza pensare di prendere una polmonite.

Con l'adolescenza si cambia, si ha voglia di tornare adulti, ma anche di ritornare bambini.

La Risa descrive benissimo questo disagio e affonda le unghie in una storia semplice e complessa allo stesso tempo, diventando sempre più brava a fotografare una quotidianità  con passione e seduzione. E così, quando la scintilla dell'amore sembra esplodere ecco che accade sempre qualcosa di insolito, che la blocca.

"Noi umani siamo così strani, abbiamo paura di dire la verità, di dire cosa proviamo veramente e soffriamo in silenzio."

Hatsu fissa la luna nel cielo notturno, è persa e stanca, ma non riesce a dormire. Una mano all'improvviso le sfiora la spalla, un sospiro le infiamma il collo e penetra nei suoi timpani, accarezzandoli. Sa che quella mano non sarà sua e resta a fissare quella sorta di paradiso terrestre, in una notte che sembra durare in eterno.

Struggente, forse anche più del precedente "Install".

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