Il secondo album dei texani WatchTower, uscito a 3 anni di distanza dal precedente "Energetic Disassembly", è datato 1989 e porta grandi novità di line up e di stile. La tecnica esecutiva e la distorsione mentale di questi professionisti della complicazione musicale resta immutata e senza fine. Non c’è più Billy White (chitarrista e fondatore della band), sostituito da talentuoso Ron Jarzombek (ex S.A. Slayer) e non c’è più nemmeno il cantante Jason McMaster sostituito da Alan Tecchio degli Hades, ma la componente aggressiva e arrembante della band c’è sempre. Questo è uno degli album più difficili che si possano trovare in ambito metal ed è quasi unico nel suo genere, sia per le estreme linee vocali utilizzate da Tecchio (che risulta anche fastidioso dall’altezza dei toni raggiunta in alcuni tratti), che per la complessità delle strutture dei riffs di chitarra, che per le parti ritmiche della batterie, che per il basso che va quasi sempre per conto suo e tesse una tela che a volte regge l’intero brano, a volte lo sovrasta e a volte accompagna la chitarra quasi come fosse una seconda chitarra.
"Control And Resistence" è un album techno-metal, o meglio è la stazione di partenza del techno-metal. Le 8 canzoni sono tutte estremamente complesse: basso, batteria e chitarra suonano indipendentemente e sembra proprio che vadano per conto loro con il risultato di una musica caotica e quasi incomprensibile per i molti passaggi che sono distanti da semplici note scritte su di un pentagramma e che invece sembrano scritti dopo aver eseguito dei complessi calcoli trigonometrici.

Rick Colaluca sfodera una prestazione superba e picchia con potenza e velocità sulla sua batteria (anche se il suono non è prodotto benissimo); Doug Keyser al basso come già detto suona su linee che fanno spesso le veci di una seconda chitarra e impressiona per la padronanza dello strumento; Ron Jarzombek suona alla grande sia i riffs scritti dal suo predecessore White che i propri riffs intricatissimi che le manciate di assoli chirurgici. I testi parlano di alcuni avvenimenti di cronaca di quegli anni, come il disastro di Chernobyl e vengono trattati anche argomenti quali la guerra e la vita sociale. Come complessità di struttura e tecnica esecutiva dovrei citare tutte le canzoni, ma tra le 8 tracce spiccano la opener “Instruments of Random Murder”, la dinamica “The Eldritch” con cambi di ritmo veramente sorprendenti, “The Fall of Reason” con il primo minuto e mezzo di delirio che lascia spazio ad una canzone ritmata e abbastanza comprensibile (a tratti orecchiabile, come nel ritornello), spezzata dal terzo al quinto minuto con delle invenzioni soliste allucinate del terzetto di strumentisti (che toccano il punto più alto e difficile dell’album) e la title track: splendida nella sua complessità; di livello assoluto la parte centrale con assoli e giochi impossibili dei vari strumenti. In ognuna delle canzoni si possono apprezzare le intricate trame di chitarra e basso ben supportate dalla batteria durante le strofe e i vari solos degli strumenti.

Disco sconsigliato a chi ama solo la musica facile ed immediata, mentre è consigliatissimo a chi ha la voglia di mettersi pazienza ad ascoltare più volte questo lavoro per riuscire ad entrare nella fitta foresta di riffs, cambi ritmici e di tempo e strutture quasi inverosimili.

Carico i commenti...  con calma