Wayne Shorter: uno dei più grandi compositori mai vissuti; perfetto conoscitore della teoria tradizionale e insaziabile innovatore. Un musicista capace di raccontare immagini, eventi, culture con le sue composizioni. Esaminando ogni suo lavoro risulta chiaro il suo metodo creativo; ha già in mente un'idea ispiratrice prima di posare la penna sul foglio pentagrammato.
Il 1964 per Shorter è un anno da ricordare. Viene scelto da Miles Davis come sassofonista del secondo, favoloso quintetto; debutta da solista per la Blue Note con l'album "Night Dreamer", al quale seguiranno, lo stesso anno, l'album in questione, "Juju", e "Speak No Evil". Ed è proprio nel '64 che egli distribuisce nei tre album citati diciotto magnifiche, originali composizioni.
Tutti i brani in "Juju" risultano interessantissimi, soprattutto armonicamente; in ogni composizione si cela un perfetto equilibrio tra dissonanza e consonanza, ogni accordo risolve in quello successivo, tensione e rilassamento.
Ad accompagnare il sassofonista ci sono McCoy Tyner, Reggie Workman ed Elvin Jones. Risulta difficile non collegare questi tre nomi al colosso John Coltrane, ma Wayne Shorter viene erroneamente catalogato come coltraniano; egli ha, nel corso degli anni, sviluppato un proprio stile, solo inizialmente influenzato da Coltrane. Infatti i componenti del gruppo sono stati selezionati perché le loro qualità musicali risultavano perfette per accompagnare Shorter, senza l'intenzione di emulare Coltrane.
In particolare Tyner, con la sua possente mano sinistra, risulta il pianista perfetto per sottolineare le armonie dei brani; Tyner verrà solo sostituito dall'"anima gemella" di Shorter: Herbie Hancock.
Inoltre va citato Jones, il suo drumming risulta una vera e propria fonte di ispirazione, un elemento fondamentale di ogni composizione.
Sin dalla title track si è trasportati in un universo musicale affascinante, il tempo dispari inoltre accentua il senso di sospensione offerto dai voicing di Tyner. I brani si susseguono con il loro carico di drammaticità, i vari accorgimenti presi dal leader, come le bellissime introduzioni (Deluge, House Of Jade), oppure l'alternarsi tra lo swing e le altre forme ritmiche (Mahjong), valorizzano l'album rendendolo un capolavoro di pregevole fattura.
Tra tutte le composizioni, spicca l'eccezionale "Yes Or No"; il titolo indica il senso positività degli accordi maggiori della prima sezione (Yes) e la nagatività del bridge (No), che si risolve ancora nel sound chiaro ed aperto delle prime otto battute; tutto ciò è reso avvincente dalla velocità sostenuta e dallo stupendo tema, oltre che dalle emozioni che offrono l'alternarsi del "Yes" e del "No".
L'ultimo brano, "Twelve More Bars To Go", è invece legato al Blues, ispiratore di tutto il Jazz.
"Juju", come ogni disco di Shorter, risulta essere il risultato di un enorme lavoro di innovazione ed è proprio l'originalità che rende Shorter una vera e propria leggenda vivente; un personaggio spirituale, ricercatore del vero senso della vita terrena, ricerca da lui intrapresa attraverso la musica.
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