In lavorazione da ben due anni e uscito quasi un anno in ritardo rispetto all’annuncio originale, “Van Weezer” (quindicesimo lavoro in studio degli statunitensi capitanati da Rivers Cuomo) è finalmente uscito, ed è esattamente quello che prometteva di essere.
Studiato e composto per essere uno sfacciato omaggio agli eroi d’infanzia dell’occhialuto frontman (in primis Van Halen, come suggerisce il titolo – l’intero album è oltretutto dedicato alla memoria del compianto Eddie - , ma anche Kiss, Black Sabbath e Metallica), il nuovo lavoro arriva a pochi mesi dal precedente “OK Human”, disco dove invece i Weezer si cimentavano con buon successo in un pop orchestrale à la Bacharach (o se preferite à la “Pet Sounds”). L’ordine di uscita dei dischi doveva essere invertito, e soprattutto l’uscita di “Van Weezer” avrebbe dovuto essere accompagnata da un mega tour assieme a Green Day e Fall Out Boy, ma la pandemia ha scombinato tutti i piani.
Ci troviamo quindi ad ascoltare questo nuovo album con una tracklist leggermente diversa da quanto progettato all’inizio, e con un’idea ben precisa del sound proposto, vista l’uscita di ben quattro singoli spalmati in dodici mesi di attesa. I Weezer si divertono come pazzi, si percepisce lungo tutti i trentuno minuti di durata (scelta saggia, visto il forte rischio di pacchianeria), e confezionano un omaggio sentito e sincero a certo hard rock da stadio che ha fatto la fortuna delle band sopracitate.
Si parte in realtà in maniera fin troppo weezeriana con il power pop sotto steroidi del secondo singolo “Hero” e con l’autocitazione sfacciata di “All The Good Ones”, fondamentalmente una cugina di primo grado della vecchia hit “Beverly Hills”, per poi passare a quanto promesso.
A partire dal lead single “The End Of The Game” entriamo infatti in un mondo di riffoni senza sosta, assoli e schitarrate auto compiacenti, sino ad arrivare ad una quasi cover di “Crazy Train” di Ozzy Osbourne (“Blue Dream”, che praticamente utilizza lo stesso riff di chitarra) e ad una bordata ispirata dichiaratamente agli Slayer (con le dovute proporzioni di aggressività) come “1 More Hit”. Le cose si placano parzialmente verso la fine, con le melodie ispiratissime un po’ alla Fountains Of Wayne di “Sheila Can Do It” (pezzo composto ai tempi dell’ormai classico “Pinkerton”) e la chiusura acustica di “Precious Metal Girl”. Da segnalare anche il terzo estratto “Beginning Of The End”, già nella colonna sonora di “Bill & Ted Face The Music” e qui presente in una versione leggermente diversa.
I Weezer più sinceri ed ispirati sono probabilmente proprio questi. Non era facile unire un citazionismo così sfrenato ad un ritorno alle origini a metà strada tra il “Blue Album” e “Maladroit”, ma Cuomo e soci sono riusciti perfettamente nell’impresa, regalandoci in un solo anno due ottimi dischi.
Brano migliore: “1 More Hit”
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