I Weezer hanno tentato varie volte di flirtare con il pop commerciale lungo tutto l'arco della loro carriera.

Ci hanno provato una prima volta con lo sciagurato "Raditude" del 2009, hanno fatto un secondo tentativo con il sottovalutato "Pacific Daydream" due anni fa (meno spudorato a dir la verità). Ma nessuno si aspettava che riuscissero pienamente nell'intento con il tanto atteso, chiacchierato e desiderato "Black Album" (che non è altro che l'ennesimo album eponimo, riconoscibile dal colore della copertina).

Quello che doveva essere il disco/controparte del quasi miracoloso "White Album" del 2016, ovvero una collezione di pezzi cupi, tenebrosi e pesanti, si trasforma in un carnevale pop centrato ed entusiasmante. Conoscendo Rivers Cuomo è plausibile che sia un affronto, una sorta di enorme provocazione; tantoché il vero capolavoro dell'album, il terzo estratto "High As A Kite", sembra proprio avere le stigmate di quello che si aspettavano i numerosi fan da un ipotetico album nero. L'incedere stile McCartney primi settanta della strofa, l'esplosione disperata del ritornello, il rumorismo abrasivo del bridge, l'intepretazione sofferta e sentita del frontman: tutto fa gridare al miracolo.

Lo stesso Rivers ha rivelato che il disco nero ha subito molteplici cambiamenti dopo la ri-esplosione della band (ai limiti del meme) con la spassosa cover di "Africa" dei Toto (ed il relativo disco di rifacimenti che ha scalato le classifiche USA): chissà cosa ne sarebbe uscito, ma va bene così, e alla grande. La produzione di quel genio assoluto di Dave Sitek dei TV On The Radio è un valore aggiunto efficace, come nel caso dell'altra gemma rara del disco, la splendida "Byzantine" (scritta da Cuomo a quattro mani con l'altrettanto brillante Laura Jane Grace degli Against Me!).

I Weezer si scatenano, lasciano definitivamente crollare i ponti col passato e fondono in piena libertà (e finalmente in maniera pienamente esaustiva) passato e presente con un occhio al futuro. Il Black Album è un parco giochi, e ce n'è per tutti i gusti: si parte col funky del singolone "Can't Knock The Hustle", si passa al reggae mischiato all'acoustic rock di "Zombie Bastards", per poi gettare nel frullatore i Weezer più classici ma lievemente aggiornati ("Piece Of Cake"), il pop rock da altissima classifica ma di qualità ("I'm Just Being Honest" e la potenziale superhit "Living In LA"), ancora il funky ("Too Many Thoughts In My Head", con un finissimo lavoro di chitarra di un ispirato Brian Bell), il glam (con il bell'omaggio a Prince di "The Prince Who Wanted Everything") e persino il rap/EDM (con la conclusiva "California Snow", che però è l'unico anello debole del lavoro, davvero troppo fuori fuoco e pacchiana).

Il tutto ha un gusto moderno ed aggiornato che però non sembra artefatto, come invece successo in passato con gli episodi peggiori della band.

Bentornati Weezer, strambi che non siete altro.

Brano migliore: High As A Kite

Carico i commenti...  con calma