A braccio è la storia, ispirata ad un fatto accaduto, di Douglas Street negro di Detroit che nel corso della sua vita assume differenti identità. "Chameleon Street" è dunque il titolo originale di questo film del 1989 che ha vinto pure un premio al Sundance film festival.

"Ha pensato a cosa fare quando sarà fuori? Voglio sapere questo: quando sarà uscito ci proverà un'altra volta? No, ormai ho chiuso. Quindi niente più false personalità. No, le assicuro che ne ho avuto abbastanza. Io non le credo. Sarei un bugiardo? Probabilmente non sta mentendo ma non ha neppure il controllo delle sue azioni, credo che lei abbia una psiche complementare. Ah capisco... Sa cosa significa? NO! Significa che lei intuisce le esigenze degli altri e si annulla pur di soddisfarle. Ad esempio lei sa che il mio lavoro è di diagnosticare le nevrosi. Le nevrosi sono rosse, le nevrosi sono blu..."

Quel sabato 7 agosto 1993 Raidue alle 22:15 l'ha trasmesso per l'unica volta... io c'ero. Fatto sta che immediatamente finita la visione diventa il mio film preferito di sempre, e per sempre. Fatto sta che, per una leggerezza imperdonabile, non feci partire il videoregistratore. Fatto sta che l'ho cercato per anni, magari l'avessero stampato in videocassetta mi dicevo, l'ho chiesto in giro a non so quanti posti, a quante videoteche, niente... Voi direte internet, ma non c'era la rete, o meglio non era "aggregante" come adesso. E un giorno, all'inizio del nuovo millennio, mi ritrovo in un ipermercato davanti ad una cesta con le ultime rottamazioni di vhs a 5€ cadauna... Invogliato a sbirciare dalla mia futura moglie rovisto con noncuranza e, miracolo, eccolo là che appare. Non aggiungo altro che ancora mi commuovo, solamente questo: prima o poi la rassegnazione premia.

Anche se sono un assiduo frequentatore di indecisionismo e arrendevolezza sono sicuro di questa cosa (quella che è in assoluto il mio film preferito) perchè, come nel caso di Tago Mago per la musica, si incolla perfettamente alla mia ombra, calza la mia psiche come un preservativo bucato, impersona l'impersonale in me, compresa sparizione. Mi fornisce una degna sepoltura per la mia esilarata carcassa evitandomi sbadigli ellittici.

Sento nel protagonista un fratello millenario che per limare la rottura di coglioni di un'ennesima reincarnazione decide di giocare a nascondino con se stesso, creando come effetto collaterale un riflesso delle nostre miserabili metamorfosi melliflue, visto che quasi l'intera umanità "per una tara genetica ha il cervello vicino al culo". Demiurgo dell'aleatorio e dell'instabilità fa scaturire tutto dal tutto e nulla dal nulla. L'essere Zelig, il trasformarsi, il trasformismo, non è più dettato da esigenze egoiche, è la noia che muove tutto, una reazione allergica al becero clever umano. Ci accorgiamo poi che la noia si combatte con la noia quando "il negro" contrappone, ad un globalista cameratismo criminale del 666, un 3D che anticipa di qualche decennio le proiezioni dotate di profondità apparente di quel giochetto che è il cinematografo: Divorzio Debiti Depressione, ecco il lascito che spetta a quest'anima antica, un'indicizzata Trinità, dove l'immersione nella variegata realtà di questo condominio terrestre è affrontata con delle branchie che filtrano tutti quei cervelli lavati e stirati che vivono in una gioviale incoscienza.

Va da sé che il mattatore, truffatore di aria fritta, è messo alla gogna a priori perché non intacca pecunia altrui, e non c'è dolo quantificabile, ma non c'è colpa più grande di ridicolizzare col nulla la stupidità che lo circonda. E che occasione mancata da parte degli altri che, sistematicamente fedeli alla loro perdita di senno, rifiutano una possibilità di crescita individuale tramite le scorregge cosmiche che elargisce a mo' di "perle" rinfrescando l'ambiente, salvaguardandosi un po' dalla porcilaia circondante nel proporsi vestito (finalmente qualcuno) di pura impersonalità.

La compassione, la compassione per tutto è prerogativa essenziale per una siffatta performance di umana labirintite. Il nonsense della faccenda "Vita" viene fotografato con un grandangolo che coglie anche l'interno velato e proiezioni d'invisibilità, la tolleranza regna sovrana in Street. A parte un trasformismo materico stupefacente, il camaleontismo è interiore, è psichico, e permette una lettura globale, e permette un distaccato coinvolgimento, e permette l'astrazione astrale che velocizza la creazione materiale tramite il pensiero. Una noia impersonale che finisce per gareggiare senza nessun premio in palio, accelerando situazioni con il solo scopo dell'annullamento.

Non poter essere acchiappato, anche se si assaggia la galera, avendo creato per se stessi una funzione che non permette all'esterno di inglomerarti: "Ma li leggi per davvero tutti quei libri? Si, e li capisco pure..." E le attenzioni sessuali da parte degli altri detenuti vengono schivate da attacchi epilettici semi simulati che bloccano i desideri perversi delle patrie galere, almeno riuscendo a scampare ad un inchiappettamento vero e proprio.

Ma che gli si vuol dire a uno che purga la serietà colpevolizzante che il sistema crea infilandoti sin dalla nascita un senso del dovere truffaldino: "questo è irrituale" direbbe il giudice colluso di turno, di fatto l'illegalità di Street non sussiste, non c'è persona giuridica presente e mai ci sarà. Nel gettare la maschera di un ruolo, come fa continuamente il protagonista, la commercializzazione dell'individuo è tagliata, ecco dov'è l'imperdonabile colpa di non accettare il peccato originale: "macula non est in te" quando non pensi di dare una funzione ad una persona, se vuoi incontrarla. Caro Douglas e chi ti manda per questa rottamazione dell'anagrafe...

Con i continui "travestimenti" il nostro eroe ambisce alla "sparizione" per caso, e la fantomatica fuga dal carcere ne è la prova. L'evasione cristallina si eternizza con il gesto del pollice alzato a chiedere un passaggio sotto le mura della prigione, sotto la neve che cade e sotto il cartello che intima "è vietato fare l'autostop": brrr, qui si gela... E noi siamo lì a compilare il modulo per un'opzione a partecipare a questo concistoro di lucida follia cercando l'adozione di Street quando che il padre, dopo l'ennesima bravata, lo ripudia cancellandolo dall'albero genealogico. Vorremmo avere avuto noi questa fortuna.

E questa volta la "strada" dell'arrendevolezza mira in alto e permette visioni traforanti. Lo scavicchio nella sua tragicità trasfigura in un divertimento serrato che riempie tutte le sensazioni, specialmente quelle dimenticate. La varietà di registri messa in campo per impersonificare sosia, che permettano col loro riflesso di essere percepiti dagli altri, è fenomenale. Superbo è il barcamenarsi nello sciattismo delle "astuzie dei visi pallidi", annullando e convertendo le trappole dell'inquisizione moderna alla causa dell'umano e assorbendo i lividi delle botte razziste subite, trasformate in rilancio dei dadi sul tavolo di una sopravvivenza ultraterrena imbellettata di cerone.

L'efficacia dell'attuazione di queste farneticazioni però è di casa in un ludo indigente che scherma da ogni identificazione. Ed infatti anche un eventuale classismo mistico è bandito: "Lasciami indossare le tue mutandine rosa, le tue pagode insolenti come due pere succose nella mia macedonia, e la tua ciliegina al maraschino mi puntano contro con tanta grazia attraverso il tuo Givenchy", fantastica Douglas quando intervista la bella campionessa di basket, prima di essere scoperto. Questo fa sì che la meraviglia di una cotanta mistificazione istilla in noi il dubbio di dove dimora la veridicità dell'insieme dell'esistenza. Vacilla la nostra seriosità cronologica che tende a nobilitare anche la più putrida menzogna. Riusciamo a capire minimamente cosa ci si presenta davanti o si resta fermi nell'illusione, nel fake istituzionalizzato? Nonostante il primattore incarna in una magistrale assenza i cambi di vestiti, dove noi spettatori veniamo rapiti sentendoceli sulla pelle, ci fa credere a quello che lui decide di essere in quel momento. E lo fa anche in maniera "pacifica", invita all'esplorazione del suo gioco senza subdolo, è tutto alla luce del sole!

E ci ritroviamo a sentirci anche noi padri, mariti, studenti, dottori, chirurghi, giornalisti, detenuti, avvocati, psicanalisti, in un vortice di situazioni da mal di pancia continui, effetto dell'immediato proposto spurio di scorie karmiche. E la fa l'operazione, la fa...

Ci si para davanti una nuova frontiera di un futurismo che supera il piglio sensazionalistico marinettiano e ci immette su montagne russe scevre di duelli dove regna la beatitudine di non dover dimostrare niente a nessuno, pur mantenendo assicurate le vertigini. Tutti si è centrifugati in un "totale bilinguismo" accompagnati da una colonna sonora consona all'estraniamento prodotto. Le inquadrature, le sequenze, i dialoghi e i rallenti e il montaggio, affiancati da vere e proprie riprese psichiche, fanno sì che la resa cinematografica non sia da meno nel creare un apparente alone di pressappochismo esistenziale che risulta fuorviante, ma se ci si accorge che anche questo "fa parte del piano" ci ritroviamo in una botte di ferro di presa per il culo trascendentalizzata. Il pathos dell'inaspettato ci accompagna per tutto il film e ci benedisce con un "to be continued" dove nessuna fine è contemplata.

E la maglietta dei Bauhaus che indossa il "reietto" diversifica soltanto la "confusione" di un calderone che a fuoco lento sbollenta lo sgobbo dell'Eternità. E la santità di presentare l'Eternità passa per una smorfia svogliata per esempio quando: "Signore qui è vietato fumare. Ma come, sono due ore che fumo e nessuno mi ha detto nulla. È assolutamente vietato fumare. Mérde! E cosa significa? Ma come? Mérde significa mérde...", nella scena quando fa lo studente di francese a Yale spacciandosi per Jean Le Gabin. Non da meno ogni singolo fotogramma è pregno di presenza, alla faccia di qualsiasi forma di esibizionismo kirsch, per una rivisitazione dell'edonismo teso allo smantellamento dello stesso.

Come non restare sbigottiti in quelle occasioni dove l'evoluzione del racconto ci agita in un "ma cosa vuole fare, dove vuole arrivare, ma lo farà veramente?", dove un misticismo barbone ci trascina in un surrealismo cruento che miete vittime tra stomaci delicati e anime giovani per la raccapricciante dinamicità esposta. E l'inverosimile è presentato come l'unica chiave che aprendo ad una disgregazione cosciente consente il salto di specie, e non solo. Martirio, estasi, resurrezioni prendono forma creando un disturbante terrore alternativo che galoppa verso sghignazzanti soluzioni fini a se stesse dove il gesto gratuito si manifesta celestialmente patentato. E se fosse questo il "razionale" che ci necessità? Logicamente il nostro eroe ad un certo punto del film lo tira fuori un: "...perdona loro perchè non sanno quello che fanno".

L'accelerazione di autostimolazioni che apre a visioni su bellezze impensabili e mai provate ingarella all'assaggio, alfine si è attratti da "La Bella e la Bestia", banco di prova per abbronzare le nostre miserie con solari inquietudini. "Tuo padre è molto strano" comunica Douglas alla figlia prima di terminare lo sgozzamento casalingo, e ce lo fa credere a tutti che ha perso la brocca definitivamente, ma questa giustificazione per il nostro quieto vivere non ce la molla: "Tuo padre è solo pazzo da legare. Da legaaare..." E si manca, vivaddio, la speranza di tranquillità fuorviante canzonando financo le inesistenze: chi di gnosi ferisce, di gnosi sparisce.

Insomma il trapasso è sempre in divenire, si è sempre in tiro, circondati da un fancazzismo underground che mai tedia: "io mangio la trippa e la trippa mangia me". E l'errore da parte dell'istrionico Wendell B. Harris è volutamente cercato per far partecipare gli altri dove "Tana!" su di lui la suggerisce lui stesso per farsi trovare, dove un appiglio almeno è concesso per stimolare future traslazioni rarefatte, per rivelare una vanità impersonale che viene anch'essa accantonata e fraternamente non si frequenta dualità, non subentrano tabule rase monoteiste.

Al massimo si propongono "Barbie nere" anche qui per contrastare il "c'era una volta", la regola del gioco, l'Happy end che un'Armina Tatiana (l'amica intima dell'università) di turno propone allettando nell'offrirsi principessa. Troppo facile la felicità che passa per soddisfazioni indotte, il mandala è immediatamente cancellato un attimo dopo averlo terminato, e subito se ne comincia un altro. Si constata la psicopaticità del gregge terrestre e si opta per una vivida palestra alchemica assorbendo i meritati sganassoni sganciati dalla consorte per il tradimento subíto e preservandoli per un innalzamento della pazienza, dopo la carnevalata del ballo in maschera: "Il tempo è scaduto, la felicità scompare quando Gabrielle (la moglie) appare".

Il reset è lasciato al mendicare di ognuno di noi su una strada che potrebbe riabilitare con l'infinito: "Alcuni mi chiamano meraviglia celeste, altri soltanto meraviglia". Queste palesate "felicità" innescano, per la legge universale di causa-effetto, il sacrosanto arresto finale (è la moglie che lo denuncia) della nostra cara famigerata meraviglia (celeste) che tira fuori una rivelazione che il più occulto dei segreti risulta leggero: "Le donne non vogliono né potere, né i soldi. Vogliono il sangue". E cala un silenzio nel rispetto della constatazione da parte degli uomini presenti che la dice lunga sul "vampirismo" scoperchiato.

Schiudono ancora di più a giullareschi siparî i facciali titoli di coda sincopati dove tutti partecipano alla commedia umana della vicenda della rana e lo scorpione: il perseguimento del conosci te stesso risulta un efferato esercizio di un cambio di livello esistenziale che sfora in metasemantica pura. Basta uno spillo sul codice a barre per materializzare la nube alchemica.

Enorme è il lavoro di depistaggio per non far trapelare che si armeggia col divino e fuorviare col fare intendere di quadrare i conti della "giustizia" terrena. Dissimulazione è la parola d'ordine, l'Athanor distilla allucinanti elisir. Le maschere usate in un'azione indigente per un'apertura di un vaso di Pandora che è in ognuno di noi: "che mi tocca fare per dimostrare che la vita non si fa con la vita" sembra dire Douglas nel constatare che siamo circondati di inevitabilità. Inevitabile l'abbandono del cinismo per inforcare il copricapo a sonagli e provare ad essere giullare per sempre. Lo scampanellìo dei lebbrosi del Dharma...

La calma piatta sfoderata dall'uomo "di colore" ci agita nella bambagia della soluzione a tutti i problemi: "Le cose vanno bene, perché preoccuparsi? Le cose vanno male, perché preoccuparsi?" Ed è tutto oro colato di un re Mida che invece di pietrificare abbronza qui pro quo dove una tintarella arcangela spella squame rettiloformi. Nel cogliere l'androginia insita in tutte le cose Douglas fa da cartina tornasole delle miserie umane e vince la partita del misconoscimento da parte dell'esterno, si basta a tal punto che tutto si svolge direttamente nel depensamento dell'atto, scavalcando l'ostacolo dell'azione premeditata.

La comunione proposta è un matrimonio alchemico che può essere accettato inconsciamente dall'esterno solo con il sacrificio di chi lo ha proposto, "come Cristo comanda". Il rifiuto da parte della normalità è inevitabile, come reietta è la verità che si palesa, ma la verità è vagabonda e fa male. Maschere indossate per gettare la maschera dell'ammiccamento esistenziale dove anche l'ipocrisia di una falsa modestia è amputata: "Se il momento mi chiama gli rispondo subito... perchè quello è il mio momento". Dottor Jekyll e Mr. Hide convivono contemporaneamente nella messa a terra delle possessioni e nell'annullamento dell'influenza di parassiti sussurratori astrali. Si è lindi dunque nel dimostrare nell'assenza l'immediatezza del senza pensiero: "Tutto quello che è qui è da un'altra parte. Tutto quello che non è qui non è da nessuna parte".

Di fatto il film è esoterico indi inaccettabile, tantoché a parte un ruolo secondario nel 1998 su "Out of sight" (quel film di Soderbergh con Clooney e la Lopez) sembra che al nostro Wendell B. Harris sia stata preclusa un'ulteriore attività rivelatrice e quest'opera rimane "the first and the last", suggerendoci che il sistema tende a non digerire dei veri rivoluzionari anarchico individualisti. Mandandoli a quel paese dopo un tentativo di reclutamento da parte del "tavolo", l'omologazione del controllo di qualità totalitario lo bolla come difetto di fabbricazione, quando invece fa parte dello zoccolo duro di quei pochissimi eretici, santi, guerrieri, poeti, di genuini esseri umani che non hanno prezzo e che disintegrano il velo di Maya vivendo la vita reale.

Mantecando gli oblii che ci aspettano, l'entità cangiante di Street se ne va a zonzo alla cazzo di cane negli interstizi della relatività. La ridondanza psichica esplode in un barocco interiore che coinvolge l'esterno trascinandolo a sua insaputa fuori da sofferenze che nutrono l'inganno, fino a spingere il gas a tavoletta in una disintegrazione inevitabile di verità inaccettabili che scoperchiano la "giovinezza" animica degli astanti a corto di fiato perché poco allenati a questi mulinelli divini.

Rifiuto e abduction della platea congelano il momento ancora non propizio per voli pindarici di destinazione aliena affidando alla giustizia terrena il compito di arrestare tutta questa "oscenità". Scattano le manette ma il gabbio è incontenibile per uno che ha quella faccia da cazzo e se ne strafotte il cazzo. Col cazzo che è finita, si è appena cominciato: Che cazzo succede? Sveglia! Lascia tutto e segui la "Street" giusta. Nella sua infinita bontà si sente responsabile della tua stupidità tirandoti bombe a mano al posto di "resilenza", e chiedendoti in cambio al massimo una "cannuccia".

Capolavoro della non rappresentazione che ricorda le nudità psichiche di artisti veramente "maledetti" tipo Francis Bacon o Franz Xaver Messerschmidt ma dove Wendell B. Harris, nelle sue "teste di carattere", mette una "smorfia" che lo allontana definitivamente da qualsiasi possessione facendo gettare la spugna agli spiriti sussurratori finalmente domati e liberati di volare come ibis da questo "taroccato" living act che è l'esistenza. Poi la gente normale liquida tutto affibbiando "disturbi mentali" e schizofrenie al cristiano di turno, dove non arriva a capire che si svela qualcosa che esiste ma invisibile: lui le vede e tu no, tutto lì. Cognizioni segrete e la parvenza di poteri sovrannaturali turbano le anime semplici. Se riveli dei segreti inconfessabili sia i vivi che specialmente i demoni sono lì a fartela pagare. Mah, andiamo avanti...

Bisogna battere sempre il ferro della presenza quando è caldo perché "la gente dimentica" ma la performance del Camaleonte quella davvero non si può dimenticare: "Si accomodi, si rilassi. Zitto. Per la prima volta non rispondere. Stanco quanto la pittura di questi muri il Camaleonte sta per confessare. Penso quindi sono in piedi, penso che l'aria è dolce. Non so chi sono, sono Street, il Camaleonte..."

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