"Se io Aguirre voglio che gli uccelli cadano fulminati, gli uccelli devono cadere stecchiti dagli alberi.
Sono il furore di Dio...
La terra che io calpesto mi vede e trema".
Col finale Herzog recupera qualche peccatuccio filmato tipo il decapitato cui la testa decollata finisce di contare. Il finale è il delirio per eccellenza, Aguirre è solo il mezzo, potremmo essere tutti un Aguirre, potremmo tutti frequentare quell'apocalisse silente, potremmo tutti come lui sbalzarci nel tempo e ritrovarci sospesi in una magnificenza asettica, come quella nave sull'albero, dove il miraggio della gloria assoluta ti trasporta in un limbo estraniante dove neanche la bellezza della morte ti fa rinsavire da un anelito ad un potere cosmico irraggiungibile.
Il non abbandonare la posizione eretta, il non sentire la pesantezza dell'armatura, lo scivolare sulle acque ignote, la sicurezza del trionfo, tutto questo si confà al Kinski e all'accondiscendenza di Werner a non immischiarsi nei demoni di Klaus, dove il regista lascia scorrere il flusso della pazzia dell'amico-nemico che si ricongiunge ad una primordialità magnetica di un'affinità morbosa con gli astri, di un'accettazione della patologica solitudine personale, dell'unicità della presa di coscienza della dannazione.
La proiezione mistica deviata risulta devastante nel constatare il punto di non ritorno assoluto che Herzog miracolosamente coglie, dove il disagio dello spettatore sta nel non decifrare chi fagocita chi. La volontà di potenza del conquistadores va a cozzare con l'inevitabilità dell'immensità della natura che lo circonda. D'altronde c'è un prezzo da pagare per l'El Dorado e l'esborso è esoso in tutte le direzioni.
La zattera va, come il Demeter, come la barca di Caronte, va verso il nulla, a ritroso di eternità, cristallizza la paura del trapasso. L'apoteosi agognata è ridimensionata dall'imbambolamento degli squittii delle sirene fattesi scimmiette. Tutto si ipnotizza con tutti, la danza di Shiva diventa spietata, secca, scopriamo la natura che è "cattiiiva", o è il riflesso del dannato che è in noi? Il nichilismo estremo è l'unica cosa che Aguirre, furore di Dio, può mettere sul piatto. Naturalmente è un buco nero senza ritorno.
Più che tutti sono sacrificabili, tutto è già stato sacrificato: "Io, il furore di Dio, mi sposerò con mia figlia e fonderò con lei la dinastia più pura che abbia mai regnato sulla terra"... Non ci si sveglia tutti sudati, non ci si sveglia proprio.
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