Cave of Forgotten Dreams, un documentario di Werner Herzog presentato al festival di Toronto nel 2010, è un film pluri-premiato forse passato inosservato ai più nonostante la paternità, probabilmente per la specificità del tema ma anche per la lentezza (credo funzionale) che lo contraddistingue.

E' girato nel sud della Francia in una località di una bellezza strabiliante, Pont D'Arc (questo posto), sito a circa metà strada tra Montpellier e Lyon, una valle nella quale sono presenti numerose cavità naturali e fra queste la grotta Chauvet.

La grotta prende il nome dal suo scopritore, Jean-Marie Chauvet, che nei primi anni 90 ha intrapreso una campagna di esplorazione nella località, alla ricerca di grotte abitate in epoca paleolitica. L'esplorazione si rivela fruttuosa e dopo una serie di caverne che restituiscono vari reperti archeologici, viene scoperta quella che contiene le pitture rupestri attualmente le più antiche mai trovate, risalenti fino a 36.000 anni fa. All'epoca in Europa siamo in piena era glaciale e l'uomo di Cro-Magnon occupa i suoi territori. Nel film si afferma che, all'epoca di fruizione della caverna, nella zona di Pont D'Arc fossero ancora presenti gli uomini di Neanderthal, informazione che a distanza di 10 anni non sono più riuscita a verificare e ciò mi induce a pensare la scienza sia già andata oltre.

La grotta, dopo la sua scoperta, viene ri-sigillata per evitare le problematiche che hanno causato il deterioramento delle pitture di altre due simili importanti grotte europee (Altamura e Lascaux, oggi chiuse al pubblico) nelle quali luci artificiali e il calore prodotto dalla moltitudine di turisti che inizialmente le hanno visitate, hanno modificato il microclima interno, favorendo la crescita sulle pareti della grotta (quindi inevitabilmente sulle pitture) di muschi e licheni.

La Chauvet, in attesa di nuove e meno invasive tecnologie investigative, viene quindi aperta molto di rado ed esclusivamente per consentire agli scienziati di studiarla.

É durante una di queste rare occasioni di apertura che il Ministero della Cultura Francese invita Werner Herzog a filmare l'interno della grotta, per realizzare un documentario.

La grotta, invero piccola coi suoi 400 mt di sviluppo planimetrico, restituisce una moltitudine di raffigurazioni di animali per la nostra epoca difficile da immaginare: mammut, leoni, rinoceronti, cavalli, bisonti, orsi, uri, cervi, iene, lupi, leopardi, gufi, popolavano infatti in maniera cospicua le nostre lande.

La qualità dei disegni e lo stato di conservazione pressoché totale è dovuto ai depositi di calcite che hanno coperto le pitture come un velo. Una frana imponente avvenuta in epoca remota ha chiuso l'ingresso originario ed è stato questo fenomeno a essere determinante affinchè si verificasse il processo che ne ha favorito la preservazione, quasi a sottolineare che davvero non tutti i mali vengono per nuocere. Almeno non in senso temporalmente assoluto.

Da subito la sensibilità di Herzog permette di apprezzare l'artisticità dell'opera, da buon esperto di arti figurative ed emozionante narratore qual è.

Paralleli improbabili ma assolutamente calzanti tra arte figurativa paleolitica, rituali magici, cinema e avanguardie artistiche vengono proposti con estrema eleganza.

Come in un quadro cubista, sulle pareti molti animali sono rappresentati con più zampe, quasi a simularne il movimento. Le curvature naturali della roccia sono state sapientemente sfruttate dagli artisti del tempo per enfatizzare la morbidezza dei corpi degli animali ritratti nei loro momenti di vita quotidiana. Quindi non scene di caccia nei quali l'uomo risulti banale protagonista, ma leoni che stanno vicini come a riposare e ignari di chi li osserva, cavalli che nitriscono, rinoceronti immortalati nel momento in cui cozzano i corni. Ma non solo, c'è tanto, tanto altro...

Herzog, narratore in prima persona, non può sottrarsi alle riprese, così come il direttore alla fotografia e un tecnico costituiscono, insieme agli studiosi, il cast di attori. (*)

Gli scienziati fin dai primissimi istanti del film vengono “guardati” con affetto, mentre si recano all'ingresso della grotta sembrano bambini che vanno al parco: piedi nel fango, tute da speleologo sporche, caschetti in testa e zaino in spalla. Scherzano e ridono, sono e sanno di essere dei privilegiati. Nessuna vanità e nessun copione da studiare, tutto è spontaneo come ci si aspetti da persone normalmente lontane dai riflettori.

La passione e l'entusiasmo per ciò che loro analizzano, nei pochi giorni di apertura della grotta, traspare in ogni istante sotto “l'occhio paterno” del regista. Vengono intervistati sulle scoperte fatte ma vengono loro poste anche domande sulla vita privata in relazione alla professione. É emblematico il caso dell'archeologo che era stato giocoliere in un circo (la sua è stata forse una vocazione mistica? Sembra suggerirlo). Si prova l'impulso di abbracciare l'archeologo che si occupa di ricostruire le armi preistoriche, che nel bel mezzo di una vigna tira una lancia e corre a riprenderla, incurante o temporalmente ignaro della sua età, mentre ride della sua stessa goffaggine.

Che sentissi una fortissima empatia per queste persone è stato Herzog stesso a pianificarlo? Qual'è e quanto è forte il potere del cinema? E la sua musica (Ernst Reijseger, qua o qui), quanto influisce? Il film scorre placido come il lavoro degli studiosi, la pazienza che usano nel loro lavoro potrebbe rivelarsi la giusta chiave di lettura dell'intero racconto.

Non si può restare indifferenti di fronte al finale inaspettato, nella riflessione amara sulla percezione di quanto scoperto si rivela l'occhio chirurgico dell'intellettuale che guarda commosso ma allo stesso tempo fortemente disilluso su tutto quanto ha potuto osservare da sé medesimo.

E' difficile in questi giorni arrivare a chiudere un qualsiasi discorso in modo definitivo, la concentrazione manca, il tempo si è dilatato e in verità, personalmente, non ho più tante parole. Viviamo dentro una bolla, in una situazione simile a quella descritta all'interno della grotta Chauvet, nel tentativo di fermare il tempo. E parlare di questo film risveglia in me sempre molte riflessioni, su cosa siamo, sulla fragilità della nostra natura, sulle battaglie che l'essere umano ha dovuto affrontare per progredire a cui ora si somma un nuovo capitolo della Storia. Nella caverna Chauvet erano umani che sapevano raccontare la loro umanità, coi propri mezzi e con le proprie emozioni e mi chiedo se saremo in grado di fare lo stesso di questi giorni difficili. Ma ho paura che narrare dei flashmob di questi giorni non porterà la stessa poesia di una pittura rupestre. E la mia vicina diggei&urlante al balcone mi è testimone.

(*) La troupe era seriamente ristretta, tanto da costringere Herzog stesso a reggere le luci necessarie per le riprese. Queste luci, costituite da attrezzature minimali, sono state montate all'interno della stessa grotta (la polvere è una costante col quale fare i conti) in quanto, in questo caso l'ingresso ma più in generale passaggi molto angusti, rendono il trasporto di ogni oggetto ingombrante estremamente complesso, talvolta impossibile. Era inoltre vietato toccare le pareti della grotta e si muovevano costretti sulla passerella larga 60 cm più volte inquadrata durante le riprese. Per chi non conoscesse il mondo ipogeico si tratta di un ambiente estremo, in cui è molto impegnativo fare anche delle semplici foto sia a causa dell'umidità elevatissima sia, naturalmente, per l'assenza completa di luce.

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