Questo qui non è un film di fantascienza né tantomeno un documentario dai contenuti scientifici o un falso documentario oppure mockumentary. 'The Wild Blue Yonder' (2005) è infatti una vera e propria opera mistica, una specie di percorso spirituale che percorriamo con il regista Werner Herzog che ci prende letteralmente per mano e ci conduce in un viaggio verso destinazioni apparentemente lontanissime al di là del nostro sistema solare e oltre qualunque soglia finora varcata dalla nostra tecnologia, a una distanza di milioni di anni luce dalla Terra, mentre invece alla fine scopriamo che l'ignoto spazio profondo cui si riferisce è la nostra anima. Quella nostra individuale e allo stesso tempo quella collettiva e condivisa dalla intera specie umana.

Un’opera cinematografica visionaria e concettuale ambiziosa (la terza di una ideale trilogia iniziata nel 1971 con 'Fata Morgana' e proseguita nel 1992 con 'Lektionen in Finsternis'), premiata alla mostra del cinema di Venezia nel 2005 e dove ambizione significa riuscire perfettamente nella espressione del proprio pensiero in una maniera puntuale e precisa, e intelligente come poche altre cose avrete mai la possibilità di vedere su di uno schermo e che il regista tedesco costruisce sapientemente con una serie di scelte artistiche improntate a un certo minimalismo e forse metaforiche, simboliche ma dove tutto in ogni caso non è casuale o comunque dettato da quel caos e quelle imperfezioni che poi comportano ogni processo creativo, perché qui Herzog ci mostra le cose per quello che sono veramente e anche se una scena e girata nelle acque del Mare Antartico invece che sulla galassia di Andromeda, questo non è un trucco o un espediente cinematografico ma una scelta precisa e sensibile e dal forte contenuto espressivo. La scena è girata sotto i ghiacci del Polo Sud (i filmati sono stati realizzati da Henry Kaiser sull'isola di Ross), lui lo sa benissimo e lo sappiamo anche noi che guardiamo il film, eppure il risultato sul piano emotivo è lo stesso che ritrovarsi a muoversi in uno stato di sospensione nella atmosfera rarefatta di un altro pianeta lontanissimo dalla Terra.

La storia, perché questo documentario racconta una storia, ci viene raccontata dall’unico attore del film, il grandissimo Brad Dourif (quello lì della mia immagine personale qui su Deb), che in questo documentario recita la parte di un alieno dalle sembianze umane e che proviene appunto proprio dal lontanissimo ignoto spazio profondo. Il suo piano ha una atmosfera di elio liquido e sul quale tutto sta morendo a causa di un'era glaciale che ha colpito il suo pianeta in maniera catastrofica. Lui come tutti gli altri abitanti del suo pianeta e appartenenti alla sua specie ha lasciato la galassia di Andromeda a bordo di una navicella spaziale e dopo tanto girovagare, come altri è alla fine arrivato sulla Terra. Grandi propositi accompagnavano questa sua nuova esperienza e quella dei suoi compagni, tanto da spingerli alla costruzione di una città che sarebbe stata la loro ‘capitale’, un progetto rivelatosi fallimentare e che alla fine diverrà letteralmente quella che si potrebbe benissimo definire letteralmente come una cattedrale del deserto. L'alieno parla davanti alla telecamera direttamente da lì e tutto quello che lo circonda è praticamente deserto e un mucchio di polvere e di rifiuti abbandonati. C’è solo lui sulla scena e solo lui in un lungo monologo racconta la storia della sua specie, spiegandoci come questa era già in passato venuta in contatto col pianeta Terra, contribuendo in maniera determinante allo sviluppo scientifico, e poi raccontandoci l’evoluzione del volo dello spazio dell’essere umano dalla sua concezione e poi dagli anni cinquanta-sessanta fino al tempo futuro.

Questo ultimo passaggio viene raccontato mediante l’ausilio e l’utilizzo di documentazione audio-visiva di proprietà della NASA. Questo vale tanto per le immagini riprese dallo spazio che per i contributi scientifici dei matematici Roger Diehl, Ted Sweeter, Martin Lo.

Nel frattempo seguiamo attraverso scene di repertorio le dinamiche del viaggio dello Space Shuttle STS-34, che nel 1989 aveva effettivamente avuto il compito di lanciare la sonda Galileo e che qui continua idealmente il suo viaggio nello spazio alla ricerca di altri mondi abitabili sfruttando le moderne tecnologie esposte esposte dagli scienziati nei loro interventi. Un viaggio nello spazio sconosciuto e in un universo dove evidentemente nulla è casuale, perché lo Shuttle e il suo equipaggio (gli astronauti Donald Edward Williams, Ellen Baker, Franklin Chang-Diaz, Shannon Lucid, Michael McCulley) arrivano alla fine proprio nello spazio ignoto profondo da dove proviene l'alieno.

Il pianeta è ancora completamente congelato, il cielo è completamente ghiacciato, segno che la crisi che lo aveva colpito fosse irreversibile, ma ci viene spiegato come la specie umana intenda comunque procedere alla colonizzazione del pianeta con tecnologie prossime a quelle che si ritiene saranno usate in un prossimo (chissà) futuro su Marte, considerando del resto - come è pensiero comune all’interno della comunità scientifica - l’espansione nello spazio non solo come un grande risultato scientifico ma pure qualche cosa di indispensabile ai fini del prosieguo della vita umana.

Alla fine, dopo quindici anni dalla sua partenza, mentre sulla Terra ne sono passati invece 820 causa le distorsioni nello spazio-tempo, lo Space Shuttle e il suo equipaggio fanno finalmente ritorno a casa. Ma il pianeta Terra è completamente cambiato: la civiltà umana si è praticamente distrutta e la specie è praticamente regredita ai livelli dell’età della pietra e la natura ha prevalso sulle sue opere artificiali rivendicando quanto le era stato sottratto.

E qui, in bilico tra un paesaggio completamente desertificato e tra cumuli di rifiuti e questa rivincita impetuosa della natura, a costo di ogni traccia residua dello sviluppo e della persistenza secolare della civiltà umana che l'alieno Brad Dourif appare in questo scenario come l’ultimo essere senziente rimasto per tutto questo tempo sul pianeta Terra, dove ha vegliato, custode del patrimonio storico, culturale e scientifico di due specie, in completa solitudine e provando malinconia per il suo passato e a un certo punto invidiando anche la spedizione dello Space Shuttle che lui stesso ci ha raccontato e perché questo aveva raggiunto il suo pianeta con il proposito di colonizzarlo nonostante la persistenza dell’era glaciale che ne aveva comportato l’abbandono. Ma questo solo prima di rendersi conto egli stesso per primo, carico di una tristezza infinita e millenaria, che quel viaggio distante anni luce fosse dal principio inevitabilmente destinato a finire dove tutto era cominciato.

Titoli di coda. Noi a questo punto chiudiamo gli occhi e immaginiamo di essere in nessun tempo e in nessun luogo e ci stringiamo disperatamente a noi stessi ricercando quel calore umano che solo il contatto con i nostri simili ci può dare.

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