Qualunque sia la valutazione vera e propria del film, ogni volta che guardo un nuovo lavoro di Wes Anderson ho la certezza di aver assistito al parto di un Artista e di un genio, e questa è la necessaria premessa.
C'è molto da dire e da riflettere su Asteroid City, che credo essere il film di Anderson più complesso finora realizzato, che prosegue un percorso di continua crescita e ricerca autoriale nonché di evoluzione. Dopo L'isola dei cani qualcosa è cambiato nei film del regista texano, che si sono fatti meno divertenti ed emozionanti ma più teorici e cerebrali, quasi astrusi e criptici, portando all'estremo le riflessioni in realtà, però, già presenti fin dai tempi di Rushmore, soprattutto a livello formale e metatestuale.
Asteroid City, così come The French Dispatch, è un film per certi versi respingente, ma l'autore de I Tenenbaum dà sempre la sensazione di spingere ogni volta più in alto l'asticella, ricercando una verità forse inafferrabile e che può restare all'oscuro, celata come una scena eliminata, destinata a restare unicamente nella memoria di un'attrice secondaria. Oppure improvvisamente apparire in una fotografia frutto di uno scatto rubato.
Se per Lynch la vita - e il palcoscenico in cui essa va in scena - è il sogno, e in Fellini è il set cinematografico e l'arte della menzogna di un ricordo annebbiato e falsificato, per Anderson tutto è una piece, una commedia in atti e capitoli, una matrioska di storie e narrazioni (come nel suo recente e straordinario corto La meravigliosa storia di Henry Sugar, uscito su Netflix); e i suoi personaggi degli attori che infine si perdono nel gioco dell'immedesimazione perché è lì che questa ricerca di verità conduce.
You can't wake up if you don't fall asleep. Non puoi risvegliarti se non ti sei addormentato.
Il treno per Asteroid City, il Club Silencio, il Transatlantico Rex, in fondo sono parte dello stesso universo.
Asteroid City does not exist. Asteroid City in realtà non esiste. E infatti tutto in Asteroid City, a partire dalla scenografia, è dichiaratamente e manifestamente finto. Come lo era involontariamente nei film di Ed Wood o esplicitamente in quelli del sopracitato Fellini.
It's all recorded. È tutto registrato. È tutto finto e, tuttavia, per questo tutto vero.
Certo è ovvio e fatale che, ogni volta che esce un film di Anderson, le critiche siano sempre le stesse, banali, superficiali e prevedibili, incapaci di cogliere la vera essenza e profondità della sua poetica. Questo perché i giudizi si fermano sempre al contenitore, presupponendo quindi una ripetizione che però non tiene conto delle variazioni nel contenuto e nelle sfumature. E, come dicevo, queste in Anderson sono in continuo movimento.
Il mondo cambia, d'altronde. Le scorie della pandemia non sono ancora cancellate (il Covid è anche il motivo della prima assenza di Bill Murray in un suo film dalla fine degli anni '90), e anche in Asteroid City questa esperienza è presente, non rimossa, all'interno di quello che è forse il primo film della sua carriera di cui ha scritto la sceneggiatura da solo, senza l'aiuto dei compagni di una vita Owen Wilson, Roman Coppola (comunque co-autore del soggetto), Jason Schwartzman (qui vero protagonista e non semplice comparsa) o Noah Baumbach. E Anderson, eterno adolescente malinconico, oggi è adulto, riflette su se stesso e sul suo cinema. Sa di non poter tornare indietro e rivivere la giovinezza con la maturità e la consapevolezza di oggi. E questo è il senso della sua ricerca, nonche la forza della sua opera: una graduale accettazione del tempo che passa e dell'invecchiamento, della caducità e del nostro essere temporanei, di passaggio come un alieno forse solo un po' timido.
Dio ci preservi Wes Anderson. Uno dei pochi autentici artisti e geni di oggi.
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