Mi hanno rapito. La recensione potrebbe finire qui.
Con un EP di sole 4 canzoni (l’ultima è una bonus track), i When Icarus Falls mi hanno preso, impacchettato, rinchiuso in un grosso scatolone come se qualcuno avesse appena ordinato online la mia persona su un sito di e-commerce, per poi portarmi via con loro in un viaggio ancestrale, fatto di chitarre dilatate, di saliscendi emotivi, di cieli tersi e crepuscolari, nonché di una straordinaria tensione melodica che fa stare sempre all’erta in attesa del prossimo giro armonico a cui abbandonarsi totalmente e senza remore.
Patti chiari amicizia lunga, quindi chiariamoci subito: questo disco non ha assolutamente nulla di originale. Non aspettatevi nessuna rivoluzione copernicana del post metal e nessuna sonorità che non abbiate già ascoltato un centinaio di volte in qualche altro gruppo a caso nella miriade di dischi post hardcore/post metal/post qualchecosa, che ormai da un bel po’ di anni affollano i nostri porta CD e i nostri hard disk. Tra l’altro le influenze della band sono palesi e fin troppo evidenti: attitudine 100% Cult of Luna, dilatazioni dal sapore Russian Circles, pesantezze chitarristiche che strizzano l’occhio ai Pelican, melodie rimandanti ai dispersi Red Sparowes e ritmiche che ricordano da vicino i mai abbastanza compianti Isis. Per non parlare della infinita moltitudine di band “minori” (nel senso di meno conosciute) che passano in mezzo a questi territori e con cui sarebbe possibile un confronto: dai Callisto ai Rosetta, dai Cloaca ai Long Distance Calling, passando anche per i nostrani Three Steps To The Ocean e Amia Venera Landscape.
Ma se volete accostarvi a questo EP, la parola "originalità" non ha alcun significato per voi. È un’altra la parola che vi serve, e si chiama “rapimento”. Dovete farvi rapire, letteralmente, e rinunciare al confronto critico e all’analisi delle influenze. Io ho dovuto citare quella caterva di band solo perché in questa sede sono il recensore, ma quando voi avrete il disco tra le mani dovrete soltanto farvi avvolgere dalle sue note dimenticandovi la scia di gruppi che in qualche modo le avranno ispirate.
Non ci sono fronzoli, qui dentro. Niente indugi atmosferici e lunghi pipponi post-rockeggianti. Qui già dal primo millesimo di secondo della prima canzone verrete travolti da melodie ipnotiche che si distendono in un letto di calde armonie emotive, con le chitarre che si intrecciano alla perfezione in un clima di tensione spirituale che massaggia i nostri sensi. In meno di mezz’ora e senza un’oncia di noia, questi ragazzi riescono a centrare in pieno il loro obiettivo: noi, il nostro cuore, la nostra anima. Un brano come “Erechtheion” è emblematico in tal senso, e in poco più di 8 minuti riesce dove tanti pezzi di altrettante band hanno fallito, pur durando il doppio del tempo. Se esistesse da qualche parte un’immaginaria “Scuola del Post Metal”, questo dischetto andrebbe fatto ascoltare agli studenti. Già mi immagino il discorso del professore: “Vedete ragazzi, non serve attaccare il delay a palla e perdersi in onanismi melodici di 20 minuti con il vostro loop, è sufficiente che ci mettiate cuore e passione e in un tempo relativamente breve avrete detto tutto quello che avevate da dire e anche di più”.
Con buona pace degli intoccabili USA e della Svezia dei Cult of Luna, ormai la miglior nazione dove andare a cercare le nuove leve del post metal si conferma essere la Svizzera. Da Berna a Ginevra, ognuna di queste band cresciute a orologi e cioccolata sembra avere una straordinaria capacità nel saper gestire la materia post in modo accorto e intelligente, nonché una segreta abilità nel modellare le sue trame chitarristiche migliore di quella che potrebbe avere un esperto vasaio nel maneggiare la sua creta. Volete qualche esempio? Knut, Impure Wilhelmina, Kehlvin, Unhold, Vancouver, Elizabeth, Zatokrev, Abraham, Rorcal e chi più ne ha più ne metta. Ne ho nominata solo qualcuna, e la qualità della musica di ognuna di loro è sorprendente. Mica male, considerata la dimensione ridotta del paese di Gugliemo Tell.
Qui, invece, la parola d’ordine è “atmosfera”. Anzi, ce n’è una migliore: “contemplazione”. Le chitarre avvolgono come una coperta calda, e la voce urlata che fa capolino tra un arpeggio e l’altro serve solo a coinvolgerci ancora di più in questo viaggio nello spazio cosmico. Anche i testi non sono meno profondi della musica, come nella riflessione sugli effetti che la tecnologia può avere nella società occidentale in “The Great North”.
Ogni tanto i ritmi accelerano e le distorsioni si incattiviscono, ma a differenza del disco precedente, qui si tratta più che altro di sprazzi di rabbia che non di fondamenta che reggono la struttura del platter. Così, l’ambiente che ci circonda diventa perfettamente “contemplativo”, le orecchie sostano poco nei territori della rabbia per poi tornare subito a immergersi in un’armonia corale, con una batteria che batte senza sosta per sorreggere i vapori delle chitarre, fumi mistici che volteggiano nell’aria e ci rilassano, scavando senza sosta negli antri più nascosti delle nostre emozioni. E a forza di perderci in questo oceano, finiamo con il sentirci drogati e non riusciamo più a smettere. Mentre scrivo questa recensione ho ancora il disco nelle orecchie, e sarà credo la terza o quarta volta che lo ascolto in questa giornata. Non che non possa venire a noia, se ascoltato troppo spesso. Anzi, a dirla tutta si tratta di un disco tutto sommato un po’ ripetitivo, se con questa parola intendiamo la preferenza nel concentrarsi su determinati giri armonici piuttosto che variare in cambi di tempo e riff concatenati. Ma a essere sincero non me ne può fregare di meno della sua ripetitività, e infatti credo che domani me lo riascolterò altre tre o quattro volte, se non di più. E nel consigliarvi ancora per l’ennesima volta di prendere in seria considerazione la scena post metal svizzera, spero proprio che anche a voi questo EP potrà piacere quanto è piaciuto a me.
Se i Minsk sono stati gli eredi spirituali dei Neurosis, dopo questo EP mi sento di affermare che i When Icarus Falls potrebbero essere gli eredi spirituali dei Cult of Luna. Forse non subito, forse ci vorrà prima qualche altro album di mezzo ad affinare le loro risorse ancora acerbe. Ma se ce la mettono tutta e non fanno grossi scivoloni beh, signori, la strada è quella. E scusate se è poco.
Infilatevi le coppie signori miei, tirate fuori questa perla dall’ostrica che la contiene, e godete.
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