E' all'incrocio dei miei istinti musicali che colpiscono duro i White Denim, cioè alle palle. L'area di stoccaggio dove converge tutto l'amore per Captain Beefheart, Minutemen, Hendrix, Mingus, gli Stooges, Jeff Buckley, Herbie Hancock, Jobim, la tropicalia e centinaia di altri suoni prima di diramarsi e nutrire il resto del corpo.
I White Denim sono un anacronismo musicale tripartito nel corpo e bipolare (quando non multisfaccettato) negli intenti; sorprendenti, quasi inammissibili se pensi che vengono dritti da qualche garage sperduto nel Texas ed hanno alle spalle soltanto il cd-r del loro esordio "Workout Holiday"."Fits" è il loro secondo disco e la più gustosa macedonia che ho avuto modo di assaggiare in trent'anni di onorata carriera di audio-filo-ascoltatore-praticante. La prima facciata del disco suona come la nemesi della seconda e viceversa, tanto basta. Dal parossismo dadaista dell'introduttiva “Radio Milk” al bailamme 'barcellonese' di “El Hard Attack” delirante batucada hardrock passando per l'eccezionale bignami ledzeppeliniano da 2' e 50'' che è “Say What You Want”. “All Consolation” spezza la trama, una ballatona con l'anima in titanio dove sembra di sentire gli XTC attraversare gli stessi fumi psichedelici degli Spacemen3 e poi sbandare per il country twang; riparte la furia in tono minore del singolo “I Start to Run” che fin dal video rende omaggio al mondo sonoro dei b-movies e della b-lounge. E come fai a non segnarti mentalmente un track-by-track quando “Everybody Somebody” sborda un p-funk gonfio di wahwah che resusciterebbe lo spirito negro dei Funkadelic a sniffate di popper e questi tizi sembrano invitarti a giocare a "Indovina Chi"???
Tutto giusto, volumi del basso in primo piano, voce immensa, rifferama eccellente e ritmi esagerati contro il ronzio perenne degli amplificatori valvolari. Dritti alle palle, come sopra. Ma è quando abbassano le luci e rallentano i ritmi che i White Denim sono semplicemente la miglior cosa capitata nel microcosmo pop delle mie orecchie. Basta cambiare facciata e sembra di sentire un altro gruppo, gente allegra e quasi più brava agli strumenti; la combo “Sex Prayer” + “Mirrored” dipinge un gigantesco interludio semistrumentale che si bagna sulle spiagge del post-rock, “Paint Yourself” è meravigliosa nel mescolare le carte tra il folk ed il pop a là Bacharach e in “I'd Have It Just the Way We Were” i White Denim sembrano la back-band di Jeff Buckley alle prese con il repertorio bossanova di Antonio Carlos Jobim. Quando pensi di aver sentito abbastanza “Regina Holding Hands” e “Syncn” chiudono il disco oscurandolo come un solstizio neoromantico sfumato di jazz.
Perfetti: nel tentativo di codificarli in quindici righe penso di aver citato quasi tutte le band ed i generi musicali che preferisco, ma credo che i White Denim siano molto di più di quel che io riesco sentire, palle incluse.
Disco dell'anno senz'appello per manifesta superiorità.
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