I Whitehouse furono in assoluto tra le prime realtà a realizzare album composti interamente da rumore; laddove quest'ultimo, presso la comunità industriale, era nient'altro che prassi (muovendosi tra caotici marzialismi percussivi, stupri elettronici, i suoni delle industrie, motoseghe, lamiere e quant'altro) l'ormai leggendaria creatura del folle William Bennett è in primis al rumore bianco che punta, coniando un vero e proprio controsenso, una sorta di noise minimale basato fondamentalmente su dei lunghi e statici clusters di suoni, distorti quanto basta (siamo infatti lontanissimi dai muri invalicabili dei vari Merzbow e Prurient) ma portati su frequenze altissime, estreme, insopportabili quasi. Più che alle intuizioni di Russolo è al minimalismo di Terry Riley che si ci ispira, aggiungendo al flusso rumoristico di tanto in tanto distruttivi inserti vocali, distorti e filtrati all'inverosimile, sospirati più che urlati, droni vocali random piuttosto che grida, quasi ad emulare a loro volta il rumore bianco stesso, mettendo in atto un approccio che difficilmente si ripeterà una volta data ben più rilevanza a liriche, messaggi, contenuti; il rumore qui è al centro del tutto. E' nata la Power-Electronics.
Diversi artisti si muoveranno più che degnamente in quest'ultimo contesto, basti pensare al compianto Atrax Morgue, che alla parte elettronica preferisce però quella lirica, ai Genocide Organ, o a quanti coloro nei '90 daranno vita alla cosiddetta death-industrial (i Grey Wolves su tutti), ma ancora oggi è difficile identificare degli eredi che arrivino a raggiungere il terrorismo sonico, nonchè la poetica, che furono le opere targate Whitehouse. William e compagni (la formazione, escluso quest'ultimo, muterà svariate volte) danno il meglio agli albori: dischi come "Buchenwald" (di gran lunga il loro più estremo), la collaborazione con Nurse With Wound ("The 150 Murderous Passions") o i più definiti, concettuali e meno minimali "Great White Death", "Dedicated to Peter Kurten Sadist and Mass Slayer" rimangono tutt'ora vette imponenti di un periodo fertilissimo, e probabilmente mai troppo celebrato, per la sperimentazione elettronica, un periodo che ci conduce direttamente alle aree più dada della musica industriale, aree al cui cospetto i vari Throbbing Gristle, Einstürzende Neubauten e Cabaret Voltaire ci appaiono come una versione più rumorista dei Beatles.
"Erector" è un disco devastante, immediato quanto ostico, ma soprattutto è incredibile pensare come cotanto spietato genocidio sonoro possa essere ricavato da una fonte così 'minima', generando in ogni caso del rumore molto più fastidioso di qualsiasi forma di caos inteso come tale, o meglio dei vari profeti industriali (gli spietati randellatori a-là Test Dept nella fattispecie), riducendo a pura astrazione il concetto stesso di caos. Dal raga malato "Avisodomy" alle dissonanze così assurdamente armoniche di "Socratisation Day", passando per le vibrazioni della titletrack e i vocalismi free di "Shitfun" non esiste tregua alcuna, mezzora scarsa che metterà a dura prova non tanto le vostre orecchie, piuttosto i tweeter dell'impianto dove lasciata scorrere, frequenze oltre ogni limite che tracceranno la via ad un manipolo di rumoristi dediti al creare rumore senza fare rumore.
Se a portare al termine il monumentale "Buchenwald" (prova tangibile di quanto Bennett intendesse con "the most extreme music ever made") ci voleva davvero coraggio diverso è il discorso per "Erector", che assume talvolta toni mantrici e vellutati, anticipando un pò quelli che saranno i concetti di certo shoegaze. Ma non aspettatevi chitarre rarefatte e sognanti psichedelismi.
Solo distruzione.
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