(Ho tirato fuori questa vecchia recensione, abbozzata nel mese di Novembre 2011, mai completata e mai pubblicata, e gli ho dato un po' un'aggiustata. Godetevela!)

Parlare di un nuovo album dei Whitesnake, come se fosse ancora il 1987, o il 1989, può sembrare sicuramente un po' surreale, ma la verità si trova proprio ora davanti ai nostri occhi: i grandi dinosauri del rock duro, ancora con una forma invidiabile, si ripropongono con un nuovo album che è dinamite pura per qualsiasi band all'esordio. David Coverdale arriva alla soglia dei sessant'anni con un nuovo disco dall'emblematico titolo di Forevermore, la sua ricetta della torta di mele che il maestro ha scongelato dagli anni '80. Una band più che collaudata, con una coppia di chitarre mortali come Doug Aldrich e Reb Beach, pronta a far rinverdire i fasti dei momenti migliori del Serpente Bianco. Tuttavia, l'album non presenta niente di nuovo in fatto di sonorità, è sempre quel caro hard&heavy macchiato di blues che il gruppo ci propone dal lontano 1984.

Ma si trascina dietro anche quelli che erano i difetti del precedente Good To Be Bad: una produzione pompata, spesso sopra le righe, compressa e priva di dinamica, che toglie respiro ad alcuni brani come Easier "Said Than Done" e "Tell Me How". La sola traccia iniziale "Steal Your Heart Away" vale tutti i soldi spesi per acquistare il disco, un potente inno a metà strada tra "Slow An' Easy" e il sound di Lovehunter, annunciato da un'armonica penetrante e sporca. Nonostante Coverdale mostri ancora qualche problema alla voce, problemi che lo perseguitano da ben più di trent'anni, si dimostra ancora (perlomeno in studio) capace di tirare fuori una graffiante voce heavy blues. Lo provano quelle iniezioni di energia sotto forma di torridi pezzi di bravura come "All Out Of Luck" e "Love Will Set You Free", che, a dispetto del titolo, è forse il brano più stradaiolo e viscido di tutto l'album. Nell'album sfocia anche un pezzo vigoroso che riprende più i canoni del rock classico americano, "I Need You (Shine A Light)", che, proprio come "Love Will Set You Free", ha un potente ritornello, molto radiofonico. Come prima ballad del disco, "Easier Said Than Done" non ha fatto tanta bella figura, decisamente poco ispirata e a tratti banale, anche se tranquillamente orecchiabile. Per risollevare le sorti ci voleva proprio un brano semi-acustico come "One Of These Days", dove la calda voce di David ne fa da padrone, un pezzo degno delle grandi hit della band come "Is This Love". È invece un mix azzeccato e di pura magia hard rock da strada la triade "Love & Treat Me Right/Dogs In The Street/My Evil Ways", dove la band sfodera completamente tutta la sua aggressività dove ognuno da il meglio di se, insieme a melodie sensuali e un grande gusto negli arrangiamenti.

Sembra incredibile come una band degli anni ‘80 (anche se nati sul finire degli anni '70) riesce a ripetersi ancora a questi fantasmagorici livelli. Forse sarà solo un caso, o forse no? Ad ogni modo, l'album viene chiuso con la titletrack, il capolavoro di intensità, diviso tra la parte acustica ed emozionale iniziale e quella un po' più energica ma sempre carica di pathos verso la metà, scomparendo inevitabilmente alla fine. Una chiara ed decisa prova di una band in ottima salute e con non intende affatto farsi da parte dalla attuale scena musicale. Verso l'infinito e oltre, forevermore appunto!

VOTO = 80 / 100

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