I Widespread Panic sono la tipica band fuori tempo massimo, che non hanno velleità da star, la presunzione di imporsi al grande pubblico, ma le quali hanno certamente le capacità di crearsi il loro buon zoccolo d'uro di fans sparso per il mondo grazie a degli ottimi album dal sapore retrò. In poche parole tutto arrosto e niente fumo.

La forza trascinante di questo live è la jam continua. Una continuità coinvolgente la quale sembra rendere il disco una traccia unica, in cui la jam viene portata all'esasperazione. La band suona compatta nel vero senso della parola, potente e precisa, e la sezione fiati della storica Dirty Dozen Brass Band la supporta con energia, colore e vigore. Si parte con "Fishwater", pezzo che ricorda i fasti jammosi più ispirati della Allman Brothers Band. La voce graffiata da navigato cantante R&B di John Bell, più la Dirty Dozen la quale spruzza il pezzo - così come tutto il disco del resto - con fiatate tipiche del R&B e del Funky, riescono a dare al pezzo delle connotazioni ricche di calde sfumatore, arricchendo magicamente il groove ritmico craato dal resto della band con uno stuolo di percussionisti al seguito. La seconda traccia è" Superstition", il grande classico di Stevie Wonder coverizzato anche da Stevie Ray Vaughan e Jeff Beck. Riuscitissima, impossibile stare fermi. Credo non sia un caso la collocazione di "Superstition" come seconda traccia, perchè riesce magistralmente tenere il filo del discorso, a fare da collante, così da creare un ponte per il reprise di "Fishwater" che arriverà poco dopo in tutta la sua libertà finale. Al quarto posto troviamo la fantastica "Christmas Katie", una ballata al piccolo trotto molto coinvolgente, in cui vengono riversati tanti suoni e colori tipici degli States: dal Soul di New Orleans al Funky tipico della Motown, con i tromboni impegnati in un accattivante accompagnamento marziale tipico delle bande amaricane e delle vecchie orchestrine; mentre il tutto sfocia rapidamente in un'accellerata successiva in cui la chitarra del povero Michael Houser, morto nel 2002, parte con uno strabiliante solo energico. Un suono stupendo, a metà tra Dickey Betts e Carlos Santana, caldo e pastoso.

Altro giro altra corsa: "Beehive Jam" riesce a mettere sul piatto una jam di partenza, mischiarla a territori psichedelici e latin, per poi adagiarla in un letto onirico... Una vera esperienza sonora. "Big Chief" di Earl King, grazie al piano di John Hermann, ripesca un sound molto smooth e molto intrigante, con il supporto sempre della fidata Dirty Dozen, ora con qualche colpo di tromba, ora con quale colpo di sax, ora tutti insieme. "Drums" parla da sè, un lungo solo in cui Todd Nance e la corte dei percussionisti si lasciano andara ad una ritmica ormai consolidata. "Weight of the World" è figlia del disco, stesso discorso: un mood Funky a cui è impossibile resistere. "I Walk On Guilded Splinters" è un roccioso R&B di Dr. John incastonato in questo splendido disco. "Coconut" e "Arleen" sono la sintesi del disco: sembra come se passassero i titoli di coda in cui, parlando sopra di essi, la band comincia a ringraziare gli ascoltatori per il viaggio condiviso.

Un live che è la sintesi perfetta di un certo Southern Rock Jam della prima ora ma portato per mano, dopo tanto girovagare, alle soglie del nuovo millennio (è del 2000), quindi un live fuori dal tempo. Alla lunga potrebbe stancare, data la ossessività ritmica tipica delle jam band, ma le sfumature della band e della Dirty Dozen sapranno ben fronteggiare questo rischio.

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