Copertina orrenda per l’esordio, datato 1988, di questa adorabile formazione georgiana.
“Chilly Water”: si annunciano lor signori, ancora in quintetto senza tastierista fisso: chitarra solista “spaziale” a vagheggiare (anche troppo); voce vissuta e con personalità; chi diavolo è il bassista? Una macchina! “Travelin’ Light”è una cosetta minore di J.J. Cale, coverizzata a country funk. La canzone che intitola l’album è ambiziosa, bipartita, molto sudista però con una chitarra western, da Colonna sonora, ipnotica, bella. “Coconut”è di nuovo funkettara.
“The Take Out” si rivela uno strumentale acustico, con un violinista ospite; begli accordi, alternando un tema in maggiore con un altro in minore: si evince definitivamente che i signori non sono semplici rocchettari sudisti. “Porch Song” comunque odora di Allman Brothers, tutta in controtempo e con quel percento di jazz. “Stop-Go” tira parecchio: sfido, percussioni a manetta e basso creativo.
Anche “Driving Song” questa possiede due temi alternati ciascuno con diversa velocità e ritmo; la solista si fa di nuovo petulante, come fosse il capo, ma sta anche a dialogare col violino; si fermano e ripartono tante di quelle volte… fino a otto minuti e mezzo poi il produttore stacca la corrente. La riattacca per fargli eseguire “Holden Oversoul”, tempo stretto in 2/4 e tanta chitarra ancora.
Si gode come ricci con “Contentment Blues”: riff imperiale, rimbombante, riverberoso, psichedelicissimo; il blues della contentezza per loro e per chi lo ascolta. John Bell che raglia da par suo e comincia a farsi amare; la migliore del lotto e primo capolavoro di carriera, dal vivo la eseguiranno per sempre. “Gomero Blanco” è la fugace festa di Ortiz, percussionista anzianotto ma bravissimo appena aggregato al gruppo. Solo percussioni e qualche suono gutturale a contorno, per poco più di un minuto, giusto per introdurre “Me and the Devil Blues/Heaven”, un blues ortodosso, lento, colla batteria stampata nel muro, in intro e poi per buona parte del brano; la parte centrale diventa mistica, quella finale (“Heaven”) è un mid tempo con un diverso perché, senza più il blues di prima.
I “Panico largamente diffuso” sono una banda come non c’è ne sono di uguali, che mette insieme un cantante blues con un chitarrista psichedelico, un bassista funky con un percussionista latino; il tutto incollato insieme da un batterista rock. Lì per lì sono indefinibili, così sfaccettati puliti ed efficienti, col ritmo naturale dentro come solo i musicisti americani sanno avere ed in più sentieri melodici tutti loro. In questo miglioreranno enormemente, intanto emergono subito delle precise peculiarità: la voce intensa di John Bell, i loop ipnotizzanti della chitarra del povero Michael Hauser, il basso pulsante e sommamente competente di David ciccio bello Schools.
Io li adoro incondizionatamente e provvederò a recensire buona parte del loro repertorio. Salud.
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