Se si riuscisse a rappresentare lo scenario in cui si muove il quarto album delle "Bestie Selvagge" (nome mutuato in parte dai pittori francesi d'inizio '900, Fauves, belve appunto) e tradurlo in una sola parola, potremmo definirlo "Impressionista". Metafora pittorica che dice tutto e nulla allo stesso tempo, eppure mai così calzante come in questa occasione, per definire la "nuova" musica dei quattro di Kendal. Dalle forme e dai contorni sfumati epperò intensi e compiuti. Viene in mente Turner in particolare. Ascoltando il disco, non si può non notare il meraviglioso lavoro di produzione, che pare dispiegare con vigore e misura nuovi colori sulla tela sonora della tracce. Pennellate di synth che d'improvviso travolgono la melodia e trascinano l'ascoltatore in un "altrove" musicale (molto Eighties a onor del vero) visitato solo occasionalmente in passato dal quartetto. Chitarre minimali, tribalismi ritmici e le voci dei due leader (il falsetto di Thorpe e il baritono di Fleming) mai così dissimili eppure complementari, intente a dialogare, a volte, nella stessa canzone. I referenti musicali sono di volta in volta i Talk Talk, il Bowie del lato b di "Low" e molti altri artisti della New Wave degli anni 80, rivisti però alla luce di un modernismo mai fine a se stesso, ma funzionale alle atmosfere e alle storie che il gruppo intende evocare.
Al centro della scena; scarsamente illuminata da fredde luci al neon, di questo teatro "elettronico", ovviamente troviamo Hayden; novello Nijinsky sotto oppiacei, bianco Pierrot lunare, che pare uscire dritto dritto dal capolavoro di Marcel Carnè.
E lui la "diva" che una volta ancora tesse la tela dei sentimenti: in "Mecca" meravigliosa liturgia pagana, nel Synth Pop di "A Simple Beautiful Truth" e in "Sweet Spot" dove "c'è uno stato divino in cui il sogno e la realtà possono completarsi". In "New Life" incontriamo il Peter Gabriel di The Rythm Of The Heat " (anno di grazia 1982) e in "Past Perfect" e "Pregnant Pause", piccole sinfonie elettroniche, sembra di sentire un Antony appena meno effeminato accostarsi alle soglie del nostro cuore.
E come tacere del maelstrom iniziale della debordante e allucinata "Wanderlust "sarcastica presa per i fondelli di certi colleghi Indie qualcosa, pronti a sacrificare anche la propria identità in favore di un facile successo di pubblico.Infine arriva l'estatica "Palace" a sussurrarci parole di redenzione e speranza e a chiudere le danze (ma anche ad aprire l'opportunità di una vita se non "nuova" quantomeno consapevole) di un disco di rara bellezza ed efficacia, capace di crescere sottopelle come un organismo autonomo.Carico i commenti... con calma