Ma come è possibile che in questo "maledetto" sito non ci sia almeno uno straccio di recensione che parli dei Bal Sagoth? Devo provvedere subito a colmare questa mancanza, con la speranza che qualcuno dopo di me ampli le notizie a favore di questa particolarissima formazione di Black Metal(attenzione, non nel vero senso del termine) la quale proviene dall'Inghilterra e che nonostante l'altissimo livello qualitativo è rimasta all'ombra dei compatrioti Cradle of Filth.
Innanzitutto diciamo che i Bal Sagoth suonano un singolare mix di black sinfonico dal sapore epico e guerresco, con tematiche fantasy, magari inventate dalla fertile mente di Lord Byron, singer della band, attorno al quale si riuniscono i fratelli Maudling rispettivamente chitarra e tastiere, Mark Greenwell al basso ed un portentoso Dave Mackintosh, una sorta di metronomo umano dietro le pelli. Ciascun membro collabora a dovere con il proprio strumento a creare il personale sound della band fatto di complesse orchestrazioni sinfoniche che danno sublimità al loro sound, riff di chitarra taglienti e serrati, e parti di batteria martellanti ed iperveloci da far venire l'invidia a qualche noto "picchiatore estremo".
Il disco che sto per presentare è il quinto della loro "alternativa" carriera di musicisti (infatti pare che alcuni membri abbiano già delle prime professioni), pubblicato nel 2001 per i boss della Nuclear Blast con il titolo "Atlantis Ascendant", e parla del mito di Atlantide.
Ma vediamo come è strutturato il disco: 10 tracce di epic/black metal dai titoli singolari e lunghissimi come la song numero 6 per esempio "The splendour of a thousand swords gleaming beneath the blazon of the hyperborean empire part 3" vi basta come lunghezza?
Lasciamo questa parentesi e preoccupiamoci di seguire l'ordine cronologico del disco. "The epsilon exordium" è una intro orchestrale di ottima fattura, carica di enfasi e massiccia nel suo impatto, che ci trascina su un campo di battaglia con tanto di elmi e spade futuristiche degne di "guerre stellari"; la successiva "Atlantis Ascendant" irrompe sullo stereo come una mitragliata, e subito possiamo assaporare cavalcate black con un pizzico di riff "maideniani", un tappeto tastieristico molto presente ma mai ingombrante, ed un picchia picchia continuo senza esitazioni e incertezze. Non dimentichiamoci della magistrale interpretazione che dei testi dà il cantante Byron, sempre lì a narrare ora possente ora riflessivo, le cronache di Atlantide.
Il disco procede in questo modo per tutta la sua durata, tra accelerazioni improvvise, marce guerresche, cambi di tempo imprevedibili, e persino qualche episodio strumentale come "The ghosts of Angkor Wat", un'eco di suoni che sembrano provenire da una caverna sotterranea.
Gli episodi migliori in assoluto di questo disco sono la titletrack, la traccia numero 4 "Star maps of the ancient cosmographers", "Draconis Albionesis" e soprattutto "The dreamer in the catacombs of Ur", dove a metà pezzo irrompe un flauto di pan azzeccatissimo che sà di pagano e selvaggio grazie ad una stupenda melodia.
Il risultato di questa fatica partorita dai Bal Sagoth non è il massimo delle loro produzioni: hanno sfornato capolavori come "Battlemagic" e "The power cosmic", ma in questo caso significa che stavolta la formazione inglese ha solamente sfiorato la perfezione precedentemente raggiunta di poco. Forse ai blackmetallers più ortodossi potrebbe dar fastidio la voce del singer Lord Byron (comunque un ottimo "attore" dietro al microfono), perchè sembra un pò "effettata", ma non ne possiamo essere sicuri (e poi ne esistono di vocalist che dal vivo fanno cagare mentre in studio spaccano); di sicuro c'è che i Bal Sagoth sono una band che sa suonare veramente bene e meriterebbero più considerazione.
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