"Il cielo sopra al porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto".

La frase che apre "Neuromante" è passata alla storia come una delle più famose della letteratura fantascientifica di sempre. E per "fantascientifica" non intendo relativa a quel genere avventuroso pieno di effetti speciali a cui ci hanno abituato le produzioni miliardarie di Hollywood, ma a quel genere letterario di indagine storica e sociale che già negli anni ’50 mosse i primi passi con le celebri anti-utopie di Orwell, Huxley e degli altri che tutti conosciamo.
Forse la caratteristica più lampante di questo romanzo è che sembra essere stato scritto ieri, quando invece è stato scritto nel 1984. In un’epoca in cui era appena stato lanciato sul mercato il Commodore 64, Gibson inventò di sana pianta parole come "hacker", "rete", "cyberspazio" precorrendo letteralmente i tempi.

La sua intenzione era quella di descrivere il mondo verso il quale l’umanità si stava dirigendo, e spaventa constatare che dopo venticinque anni dalla prima edizione di "Neuromante", almeno la metà delle sue previsioni risultano esatte (due su tutte: l’esistenza di una grande rete informatica universale e la crescente globalizzazione che spazza via le differenze culturali).

L’altra metà, la tragica, spaventosa evoluzione sociale, economica e umana verso un mondo in cui il principio del profitto economico è l’unica legge, al di là del bene e del male, in cui le logiche di mercato obbligano a una vita da mercenari a prezzo della propria stessa sopravvivenza, in cui l’individualismo trascende la schizofrenia e il concetto di criminalità è naturalmente integrato nel quotidiano, è un plausibilissimo step evolutivo di quello che succede sotto i nostri occhi tutti i giorni.

È questo che inquieta, la sua lucidità nell’immaginare la storia futura.

Al contrario delle anti-utopie di Orwell e soci, qui non troviamo nessuno stato autoritario, nessuna polizia che rastrelli i dissidenti e mantenga l’ordine, ma lo scenario è addirittura peggiore: non esiste nessun ordine se non quello dei grandi interessi mondiali che si autolegittimano. Il mondo è comandato da multinazionali in cui poteri militari e capitali dell’industria si fondono in entità onnipotenti, capaci di imporre la loro legge con ogni mezzo. Regna una violenta anarchia in cui la voce del potere si afferma tramite i sicari e la criminalità organizzata al soldo delle grandi corporazioni.

La tecnologia è l’aspetto più degenerato di questo mondo, il rapporto che gli uomini hanno con essa ha trasceso ogni concetto di interazione: ora la tecnologia è parte integrante dell’organismo di ogni essere umano. Ognuno possiede nel suo corpo almeno un innesto bionico per estendere le sue capacità fisiche o psichiche. Siamo oltre l’idea dell’alienazione, siamo al totale smembramento dell’individuo, che diventa solo un semplice assemblaggio di pezzi che possono essere cambiati, rimossi, potenziati a seconda dell’occorrenza. L’uomo nella sua forma naturale è ormai obsoleto, inadatto.

Se si aggiunge che i personaggi responsabili di muovere gli eventi e i protagonisti in maniera decisiva nel racconto sono un’intelligenza artificiale e un flatline (cioè un dispositivo elettronico in cui è stata inserita l’intelligenza e la personalità di una persona ormai defunta), che agiscono per liberare la loro esistenza dalle strutture fisiche in cui sono relegati, capiamo l’atroce verità: è la tecnologia a disporre dell’uomo e della sua vita, e non il contrario. Sono gli esseri dotati di intelligenza artificiale ad affermare la loro superiorità su un uomo ridotto a oggetto inerte e antifunzionale. Mentre loro trovano la via verso la libertà, la trascendenza dalla loro dimensione fisica, l’uomo viceversa è sempre più schiavo e sempre più prigioniero del reale, dei suoi limiti strutturali, mentali, biologici.

Il capovolgimento fra umano e antiumano, la linea sottilissima fra vita reale e artificiale sono i temi oscuri e commoventi di questo romanzo. Lo stile freddo, austero, asettico, parola dopo parola opera la minuziosa smolecolarizzazione di tutto ciò che esiste di umano, drena l’esistenza di ogni suo più piccolo significato, persino quello elementare di struttura biologica animale. La vita diventa una variabile insignificante all’interno di un universo dominato da forze degenerative contro cui l’uomo non può nulla, se non regredire sulla scala evolutiva in favore delle macchine, in un processo perentorio e inesorabile.

Concludo consigliando questo capolavoro a tutti, anche ai non appassionati del genere. Se lo leggerete e ne sarete colpiti, vi accorgerete che questo racconto non è un tentativo di denuncia contro una possibile involuzione sociale, per quanto realistica, ma la fredda affermazione che un futuro simile è inevitabile, la demolizione di ogni speranza di redenzione da una fine certa e già annunciata ed intrinseca nel sistema mondiale umano. Gibson vuole solo informarci che il processo è ormai in atto, ci stiamo finendo dentro e non c’è un solo motivo razionale per pensare che le cose andranno diversamente.

Pessimista, direte voi, nichilista. Ma guardando al corso degli eventi con un minimo di realismo, riuscireste voi a immaginare un futuro poi così diverso?

Io, sinceramente, non ci riesco.

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