Correva l'anno 1998 quando Madonna pubblicò il suo lavoro, secondo me, più riuscito, "Ray Of Light".

Quando ascoltai quell'album fui subito colpito dallo stupendo suono che emanavano tutte le tracce. Andai subito a leggere le note di produzione (musicisti, produttori, ingegneri del suono ecc...) e notai che la maggior parte dell'album era stata prodotta da un certo William Orbit. Premetto che ne avevo già sentito parlare come autore di alcuni remix ma, prima d'ora, non avevo mai sentito un disco prodotto da lui.

Questo personaggio mi incuriosì a tal punto che cominciai a rovistare nel web per trovare più informazioni possibili riguardo ai suoi lavori precedenti. Scopriì che il personaggio in questione aveva un curriculum di tutto rispetto sia come produttore (Madonna, Blur, All Saints, Finley Quaye, Pink, Caroline Lavelle etc...) che come autore (Bass-O-Matic, Torch Song).
L'anno scorso acquistai una raccolta di Beth Orton contenente "Water From A Vine Leaf", un pezzo tratto dall'album "Strange Cargo III" di William Orbit. Fu amore al primo ascolto!

Nel giro di qualche mese entrai in possesso del suddetto CD che confermò in pieno quanto avevo già ascoltato. Dodici sono le tracce presenti sul disco: si parte con la bellissima "Water From a Vine Leaf", perfetto esempio di "trance music" con un intervento vocale da parte di Beth Orton per poi proseguire il discorso coll'inquietante "Into The Paradise" dove una voce paradisiaca fa capolino su un tappeto di bassi infernale. Segue "Time To Get Wize" che, partendo da una base "hip hop" ci invita a riflettere sui mali nel mondo e si chiude con un riuscito intervento di chitarra elettrica. Dopo "Harry's Flowers" che, personalmente, ritengo un po' soporifera (infatti non l'ascolto quasi mai) il disco ritorna nelle corde con la splendida "A Touch Of The Night" per poi proseguire con tre pietre miliari, "The Story Of Light", "Gringatcho Demento" e "A Hazy Shade Of Random", quest'ultima permeata da una forte componente etnica come la successiva "Best Friend, Paranoia" (un voto in più per il titolo). Seguono a ruota "The Monkey King", "Deus Ex Machina", due pezzi molto sperimentali (leggi meno orecchiabili) ma non per questo meno belli dei precedenti e lo strumentale finale "Water Babies" che richiama alla memoria "Time To Get Wize".

Ciò che colpisce immediatamente, al primo ascolto di queste composizioni elettroniche, è il suono che, spesso, viene catalogato come electro-ambient anche se questa definizione mi sembra un po' riduttiva; preferirei, piuttosto, chiamarlo "Orbit-sound". Ma la cosa che mi ha sorpreso maggiormente è stata la data di pubblicazione di questo album: 1993!

Pensavo fosse stato prodotto nel ventunesimo secolo!

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