Probabilmente la figura di Willie Nelson è destinata a essere riconsiderata un giorno da tutti gli appassionati di musica. Questo non significa che Willie sia poco popolare, al contrario penso che nonostante la sua indole eccentrica o forse proprio per questa, sia considerato come una specie di leggenda, ma quello che penso è che la sua grandezza come musicista e scrittore di canzoni vada rivista in un senso universale e al di fuori da determinate etichette che poi possono essere più o meno positive e più o meno giustificate e che poi hanno senza dubbio contribuito ad accrescerne il mito. Cosa di cui egli stesso prova una specie di compiacimento che poi è quello tipico dei fuoriclasse.
Figura trasversale, proprio perché eccentrica e riconosciuta come tale, Willie Nelson racchiude in sé tutto quello che è il mito di Nashville e che se fondamentalmente si ritiene legato alla cultura hippie o comunque democratica, alla fine viene riconosciuto anche come parte del mito più grande che sono gli Stati Uniti d'America e che alla fine è qualche cosa che ha un fascino che viene riconosciuto in maniera indiscutibile sia a sinistra che a destra e che ha superato e supera barriere ideologiche come missili balistici attraverso la cortina di ferro. E allora eccolo qui Willie che compie 85 lo scorso 29 aprile e due giorni prima per festeggiare il suo compleanno (come aveva peraltro fatto l'anno scorso con "God's Problem Child") pubblica "Last Man Standing" (Legacy Recordings), il suo settantasettesimo (77) album in studio registrato tra Nashville, Tennessee e Spicewood, Texas con la produzione e la collaborazione del fido Buddy Cannon, che qui firma con Nelson tutte le canzoni del disco. Che poi chiaramente sono musicalmente tipiche nel repertorio di "Red Head Stranger" tra ballate country-folk, pianoforti sfuggenti, bolero, il western e la cultura della frontiera e armoniche blues suonate come se fossero coyote che abbaiano di notte alla luna piena.
A partire dal titolo e poi nei contenuti dei testi si evince una certa ironia, quella lì tipica e beffarda già richiamata di un uomo (Willie ha avuto di recente alcuni problemi di salute che lo hanno costretto ad annullare tutte le date di un tour previsto lo scorso febbraio) che gliel'ha fatta (anche questa volta) alla morte, oltre che il solito tributo a quella epopea del vecchio west che poi non è tanto diversa dai miti dei poemi epici della letteratura classica e anche qui trasmessa poi principalmente per via orale. Sicuramente sarà difficile slegare oggi come domani Willie Nelson dal suo mito - che è e resta immortale - quello che manca è forse il riconoscimento da parte di una certa cerchia pseudo-intellettuale che ha paura degli eroi popolari e guarda loro con sospetto e ingiustificata aria di superiorità. Praticamente invidia.
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