Le canzoni viaggiano lungo strade invisibili, trattenendo la polvere della clessidra del tempo e l'eco delle chitarre che le hanno suonate. Percorsi a volta incomprensibili che le portano a cambiare la pelle come i serpenti pur di sopravvivere in un deserto assolato come nello smog di una metropoli europea. A volte sono addirittura oggetto di mutazioni genetiche pur di restare ancora vive nell'immaginario collettivo di generazioni diverse.

Ora, nell'immaginario collettivo, "Hey Joe" è una canzone di Jimi Hendrix. Nossignori, questa storia di corna e morte ha origini più complesse partendo dalla tradizione per finire ad un accapigliamento tra Dino Valente (alias Chet Powers alias Jesse Oris Farrow alias Dino Valenti dei Quicksilver Messenger Service) e il folk singer Billy Roberts per affermarne i diritti. In origine era una folk song che parlava di Joe che acquista una pistola per uccidere la donna che l'aveva tradito, per poi squagliarsela in Messico where a man can be free anche dopo aver ammazzato la fedifraga.

Nel 1966 la incisero un po' tutti, ma la versione più fedele era quella lenta del cantante folk Tim Rose (che già si era fregato i diritti di un'altra canzone "Morning Dew" portata al successo in seguito dai Grateful Dead) e ben presto divenne un inno delle band garage come gli Standells che l'accellerarono a manetta e lo stesso Jimi (che aveva sentito Tim Rose cantarla dal vivo) contribuirà ad incendiare gli animi di tutti noi con la sua progressione in "Are You Experienced?".

Insomma, dopo infinite versioni fatte da buoni e cattivi, citandone qualcuno in ordine sparso come Byrds, Shadow of Knight, Patti Smith, Cher, Nick Cave, Francesco Di Giacomo (!),  Franco Battiato (!!), cosa ci potrà mai dire quella di Willy DeVille contenuta nell'album "Backstreet Of Desire" del 1992?  

Che magari è quella più vicina allo spirito originale. Uno, dos, tres e l'orchestrina mariachi che apre le danze forse è proprio simile a quella che Joe sentì una volta passato il confine con le mani ancora sporche di sangue e il cantato di Willy pare non avere fretta, nessuna progressione ma un ritmo latineggiante che se la prende con calma. Tanto in Messico c'è sempre tempo: manana por la manana e i giorni saranno sempre uguali con quella tromba che a metà canzone si fa largo tra le chitarre, i violini, i richiami, i trilli e tutto quanto è necessario per sopravvivere musicalmente ad ovest di Sonora. Ora "Backstreet of Desire" è un gran bell'album che (con la collaborazione di gente del calibro di Dr.John, Zachary Richards, David Hidalgo) chiude quel lungo giro fatto da Willy partendo dal rock urbano del CBGB's per arrivare alle ballate stile Doc Pomus. Ma in questa sarabanda rock, blues, soul, rythm and blues, country, spicca il gioiellino tex mex di "Hey Joe".

Willy è morto qualche settimana fa e io purtroppo non credo a quelle belle storie che ci hanno raccontato fin da piccoli sul paradiso e l'inferno, ma a volte vorrei che fosse tutto vero. E, dato che non sono una cattiva persona, tra cent'anni sarebbe  bello finire in paradiso e trovarci Willy vestito di bianco con tutto il suo armamentario fatto di lunghi capelli con il taglio moicano, i grossi anelli alle dita e l'incisivo dorato che mi suoni per l'eternità una canzone maledetta come "Hey Joe": tanto lassù i giorni sono sempre uguali...

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