È ricco. È sensuale. È sensibile. È inconfondibile. È enorme.

Ha una voce maschia e profonda. Il suo abbraccio ti avvolge. È capace di dar piena soddisfazione. Tocca corde del cuore che lui solo conosce. È insistente. È eloquente e non dà tregua. Stallo ad ascoltare un po' e ti senti portar via, senti le resistenze cadere.

Il confine tra letto ed intelletto si sfoca, e non sai se ti stai lasciando andare per insistenza o per seduzione. È un mare in tempesta, turbolento. È un'idea fissa, che torna e ritorna. È un anelito, un invincibile movimento di ascesa che irresistibilmente ti spinge verso l'alto. Tanto nobile e vibrante lui, quanto falsa e goffa lei: il piano e la voce di Wim Mertens. Una voce che non mi ha mai convinto, e più ascolto “The fosse” eseguita dal coro dei baritoni in “Educes me” paragonandola alla versione cantata da lui in “Maximizing the audience”, più mi rendo conto che quella voce fa torto a quel pianoforte. Ah, quel pianoforte.

Pure, insieme sono stati gli artefici di momenti indimenticabili. Se "Jeremiades" non raggiunge l'intensità e l'ebbrezza delle estasi e dei tormenti d'amore di "After virtue", il suo zenith, non è loro distante. Da "After virtue" a "Educes me", da "A man of no fortune..." a "Strategie de la rupture" e al live "Epic that never was", la produzione per piano e voce (o, con un po' di fortuna, per solo piano) è la sola, di Mertens, che valga la pena seguire. Gli interminabili cofanetti di quella sgraziata musica da camera con la quale sta facendo il suo apprendistato in pubblico li lasciamo volentieri ai fanatici e ai collezionisti.

Ma "Jeremiades" è un volo, non una marcia forzata. Una poesia, non un compito in classe. Sognante, intensa, sempre melodica, l'offerta musicale di Mertens prende la forma di brevi sfoghi sinfonici o di suite più lunghe, che sembrano seguire lo svolgersi di un pensiero, che, sviluppandosi, cambia di quel poco - ma irreversibilmente - la mente che lo ospita. O, meglio, la vita fugace di un'emozione, una di quelle piccole, di quelle private, che ognuno sente fra sé e sé. Una di quelle familiari - ché questa musica nulla ha di esotico o difficile. Una di quelle che tornano, a sollevare gli stessi interrogativi senza risposta, o a versare un balsamo sulle medesime piaghe di sempre. Classiche ma attuali, composte ma palpitanti, queste composizioni costituiscono una preziosa lezione di armonia interiore e di speranza nella bellezza che esiste, che resiste a dispetto di tutto.

Chi ancora ha un cuore se lo lasci trafiggere.

Carico i commenti...  con calma