Quando si parla di krautrock il pensiero della stragrande maggioranza degli appassionati va a quella corrente di musica elettronica d'avanguardia che trova le sue migliori espressioni in formazioni tedesche come Cluster, Kraftwerk, Neu!. Ma c'è da dire che nei primi anni settanta in Germania l'influenza dell'hard progressive di matrice britannica aveva attecchito in maniera così tenace che ancora oggi si rimane sbalorditi davanti a dischi straordinari lasciati all'oblio, come ad esempio quelli degli splendidi Lucifer's Friend, che non avevano niente da invidiare a complessi inglesi ancora oggi (giustamente) osannati come gli Uriah Heep. Sta di fatto che mentre nella patria della lirica, quale la nostra Italia, l'influenza del progressive si manifesta in espressioni un tantinello melodiche che fanno uso di tastiere più "morbide" come mellotron e moog, nel paese del roccioso Beethoven la fa da padrone l'aggressiva sonorità dell'organo Hammond come aveva insegnato mastro Vincent Crane (R.I.P.)

 Così mentre Moebius e Roedelius, Ralf e Florian, Dinger e Rother continuano le loro sperimentazioni elettroniche che marchieranno in modo indelebile il krautrock, restano colpevolmente un po' a margine della classificazione "crautiana" i gruppi dello stesso periodo che però di sperimentale non avevano niente, attingendo invece a piene mani dal classico hard progressive inglese.  E' il caso dei Wind, un quintetto che aveva i suoi punti di forza nella ruvida voce di Steve Leistner e nell'organo Hammond di Lucian Bueler. Per carità, niente di trascendentale e nemmeno originale, ma questo "Seasons" pubblicato nel 1971 per l'etichetta Plus a basso prezzo (almeno allora, oggi costicchia) ha disseminata nei suoi solchi più di una perla per noi che amiamo quelle sonorità hard psichedeliche.

 E' il caso dell'opener "What do we do now" con l'aggressivo riff dell'hammond sciolto nell'acido degli intermezzi di flauto e cori westcoastiani che ci spingono ad afferrare un retino e zompettare per i prati a catturare le farfalle multicolori che esistono solo nella nostra alterata immaginazione. Un'altra botta al nostro precario equilibrio mentale viene dalle stupende melodie vocali (ancora di stampo lisergico-westcoast) che si rincorrono in "Springwind": l'acido stavolta lo offre la chitarra di Thomas Leidenberger mentre la spina dorsale del brano è data dalla robusta ritmica supportata dall'hammond. Con "Dear Little Friend" il clima diventa rovente per una possente danza heavy progressive stile Atomic Rooster e invece "Now It's Over" ci riporta nei territori folk psichedelici cari ai primi Pink Floyd: dolci accordi di chitarra elettrica a sostenere le voci sussurranti nel vento cosmico.

 I quindici minuti finali di "Red Morningbird" iniziano rubando il tema dell'armonica da " C'era una volta il West": una suite progressive dove far scorrere i propri ricordi su uno schermo a colori. Il brano, l'unico a firma del corpulento cantante Leistner, è un lungo (forse troppo) alternarsi tra atmosfere sognanti e momenti rabbiosi ed è beneficiato da un paio di robusti assoli di chitarra elettrica proprio prima di spegnersi nella ripresa del tema di Armonica.

 I Wind non avranno inventato niente di nuovo ma anche questo è krautrock... ed è un peccato che se ne parli così poco.

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