Sulla nascita del nuovo rock italiano è stato detto e scritto molto, forse tutto. Che sia stata sotto i portici di Bologna o qualche tempo dopo nei vicoli di Firenze ci interessa relativamente, non è un fatto di primato. Quello che conta è che, in quegli anni, lontani oramai un’epoca giurassica, sotto la spinta propulsiva di un punk che travolse tutti i riferimenti della musica tradizionale, si fece strada per la prima volta anche in Italia, uno spirito nuovo ed indipendente. C’era sicuramente grande entusiasmo, voglia di fare e di strafare. Ma nessuno aveva paura di sbagliare, perché l’importante, in una maniera o nell’altra, era provarci. Sono consapevole che ripensare ora a quegli anni può essere pericoloso, esattamente come ripensare alla propria adolescenza. Può derivarne facilmente una visione alterata ed amplificata di una realtà che era probabilmente molto meno straordinaria di quanto ci possa sembrare nei ricordi. Il disco uscito recentemente dei Windopen però, “Quando i baci erano fiocchi“, ci obbliga suo malgrado ad una riflessione in questo senso.
E’ il 1979 ed il punk a Londra è finito ormai nelle boutique di King’s Road, bistrattato da chi lo ha suonato e ripudiato da chi lo aveva amato. Qui da noi, lontana provincia di un immaginario impero, l’influenza del punk arriva tardivamente ma con prepotenza. In un (Bel) paese ancora scosso dai subbugli politici figli del 68 e dalla crisi economica, la musica ristagna nei juke box, tra Alan Sorrenti ed Umberto Tozzi. A Bologna, proprio in quei giorni, nasce la Italian Records di Oderso Rubini, la cui importanza storica e strategica è talmente spaventosa che se non sapete quello di cui sto parlando lasciate pure perdere il seguito della recensione. Le nuova filosofia è quella di una musica “di rottura” con il sistema, il nuovo approccio è quello delle radio libere, dei concerti autogestiti e dell’antagonismo ad ogni costo. Bologna, città universitaria e ribelle, fa subito sua questa tendenza ed un primo nucleo di band interessanti si coagula attorno alla label del visionario Oderso. “Dalle cantine all’asfalto”, recitava così la locandina di quel mitico evento che il 2 aprile 1979 radunò inaspettatamente più di seimila persone al Palasport di Bologna: un concentrato della scena punk, rock demenziale e new wave che stava finalmente sbocciando anche in Italia. I gruppi non li conosceva nessuno e avevano nomi improbabili come Luti Chroma, Bieki, Naphta, Frigos etc., ma non era importante. La cosa fondamentale, per la prima volta nel nostro paese ,era “esserci”, anche solo per tirare qualche pomodoro in faccia a Freak Antoni. Il nuovo rock Italiano nasceva, metaforicamente, quel giorno.
Tra i gruppi emergenti della Italian Records, c’erano anche i Windopen. Le loro prime registrazioni per la Harpo’s Bazar, immortalate nella cassetta “Windopen Rock!” , sono acerbe ma splendide. Ci mostrano una band lontana dalla sperimentazione feroce dei primi Gaznevada, per nulla interessata all'avanguardia dei Confusional Quartet o all’elettronica degli Stupid Set. I Windopen sono semplicemente una band che senza forzare gli schemi musicali classici del rock riesce ad essere innovativa, esprimendosi semplicemente attraverso un'attitudine differente. A tratti, il gruppo formato dal futuro Litfiba Roberto Terzani, richiama nelle composizioni e nei testi l’indole demenziale degli Skiantos, senza tuttavia sposarne completamente l’approccio beffardo e provocatorio. I Windopen suonano invece una sorta di pub rock tutto italiano (bar rock?), diretto e muscolare. La vena creativa della band è brillante e non si esaurisce esclusivamente con la cassetta d’esordio, resa disponibile recentemente anche da una bellissima ristampa della Spittle Records. Infatti i Windopen trovano il tempo di incidere altre canzoni nei primi anni ottanta, compositivamnte più mature rispetto a quelle dell’esordio. Nessuno si degnò di pubblicarle allora e tali registrazioni presero la mitica forma di “album fantasma”, così ci è stato “tramandato” dalla loro casa discografica. Comunque sia, rimasto per oltre quattro decenni in un cassetto, il demo di quelle presunte ultime canzoni della band è stato ripreso in mano dai Windopen, che hanno ritenuto di pubblicarlo ora, ampiamente postumo.
Ed eccolo dunque il disco, intitolato ironicamente “Quando i baci erano fiocchi”, come il titolo del pezzo posto in apertura del vinile. L’incipit dell’album è interessante, il racconto audio dell’irruzione “in diretta” della polizia nella sede di Radio Alice diventa testo e cronistoria di uno strumentale che definisce il suono del disco. Per chi si aspettava di ritrovarsi ad ascoltare i demos originali, pieni di suoni vintage e di irruenza giovanile, per chi si aspettava “i suoni di quella Bologna”, c’è subito un pò di amaro in bocca. Le canzoni originali sono infatti pesantemente manipolate. Anzi, a mio parere, ed al di là delle affermazioni di circostanza della Spittle Records, mi sembrano re-incise ieri l’atro. Questo approccio fa sì che da un lato l’album scorra benissimo, le versioni sono pulitissime con i testi che non dimenticano di ricordarci il glorioso passato. Ma dall’altro sembra quasi di ascoltare uno dei mille gruppetti finto-indie dei nostri giorni. Così si crea un evidente scollamento tra i testi incazzati, figli di un momento unico e irripetibile, e la musica tutto sommato molto ammorbidita da una produzione troppo "leccata". C’è da dire che il chitarrismo frizzante e contagioso della band, libero dai limiti tecnici e dall’inesperienza strumentale dei tempi che furono, funziona ancora bene. Segno di un talento musicale che non era comune. L’album è perciò gradevole, ricco di canzoni immediate e piacevoli. Manca però totalmente la grinta di un tempo, manca tanto quel sax che attraversava le canzoni dei primi Windopen e le rendeva così originali. Parecchi episodi meritano comunque plauso e menzione. La vivace “Brutte Storie” che ha ancora quel retro-sapore di Skiantos, l’elettrica e contagiosa “Ancora sotto shock” ed il punkettino spedito di “Le teste dure”. Nessuna traccia delle venature blues che disegnavano la traiettoria di molte delle canzoni degli esordi, nessuna concessione ai bridge strumentali ed ai duelli chitarra-sax che rendevano speciali anche i loro spettacoli dal vivo. Buona comunque la verve recuperata, quella di “Mi han detto di stare lontano da te” per esempio. Ed anche il demo, che demo non sembra affatto, di “La notte è tua in città”, il loro ultimo interessante singolo, pubblicato nel 1986, oramai fuori tempo massimo dalla CGD che cercò un tardivo rilancio della band.
In definitiva “Quando i baci erano fiocchi“ è un album che sognavo diverso, sarà perché sono un irrimediabile nostalgico e mi illudevo di poter ascoltare finalmente i nastri originali registrati nella cantina di Via Vitale 13. Fossero state anche scoregge, mi sarei emozionato di più. O sarà perché “Quando i baci erano fiocchi“ suona paradossalmente troppo attuale e politicamente corretto, in un presente che, musicalmente parlando, mi sembra ogni giorno più stupido e desolante.
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