Provengono dall’Inghilterra (Oxford), sono un duo (solo chitarra e batteria) e si chiamano entrambi Ben. Se state pensando ad un clone dei White Stripes però, siete fuori strada. Perché basta un solo ascolto per accorgersi che le somiglianze tra le due band si fermano al numero dei componenti. Nati come quartetto nel ’99 (ma gli altri due membri fondatori se ne andarono dopo poco tempo), si cimentano fin da subito con una musica dura e rumorosa che si ispira, tra gli altri, a gruppi come Fu Manchu e Queens Of The Stone Age, ma anche al sound di Seattle (specialmente quello della scuderia Sub Pop) ed ai suoi esponenti più “grezzi” quali Tad e Mudhoney. Influenze marcatamente americane, evidenti già nel nome scelto dal gruppo (preso dalla tribù di indiani del Wisconsin, ma pare che sia anche una marca di birra), che infatti ammette di essere piuttosto estraneo alla scena musicale inglese. La classica gavetta fatta di centinaia di concerti in giro per il paese (anche insieme a gruppi del calibro di Fugazi, Nebula e Therapy?) li porta a sottoscrivere un contratto con l’indipendente Fierce Panda, che gli pubblica il primo album nel 2004,“Dead Gone”, preceduto nel 2003 da un paio di promettenti EP. Contemporaneamente Nick Olivieri, loro fan entusiasta (a cui avevano già aperto diversi concerti), gli propone di entrare come membri effettivi nei suoi Mondo Generator e, di fatto, li ingloba nella sua band, portandoli in tour con sé in America ed Europa.
“Flight Of The Raven” è il loro secondo disco e, come il precedente, si avvale della produzione del guru del grunge Jack Endino, che l’ha registrato in sole due settimane nel suo studio di Seattle. Le 15 tracce di cui è composto propongono uno stile ibrido che mischia la potenza del metal e la furia del punk, insieme ad un po’ di sana pesantezza stoner. Se infatti abbondano le canzoni di stampo garage punk (come “You Let Me Down”, “Targets” e “The Maniac”), non mancano neppure episodi più propriamente vicini allo stoner, dove il ritmo rallenta e l’atmosfera si fa più pesante: la minacciosa “Venomized”, oppure “The Button”, o ancora la lunga “Going Home”, con i suoi 7 minuti e più di inarrestabile baraonda sonora, che parte come una normale canzone e degenera in una specie di jam session (questa volta arricchita da basso, inserti di theremin e piano). Tra i pezzi più orecchiabili, è doveroso citare “Spider Bite” e “Reeper”, non a caso entrambi scelti come singoli, che non rinunciano ad un ritornello accattivante (presente, del resto, in molte delle loro composizioni). La title track vede la partecipazione dello stesso Endino (che, com’è noto, oltre ad essere un produttore è stato anche chitarrista degli Skin Yard, autentici precursori del grunge), a cui aggiunge una bella slide guitar. In “Czechoslovakia” c’è pure lo zampino di Nick Olivieri (dove suona la chitarra e canta la strofa finale), che ritroviamo alla voce anche nell’incendiaria bonus track “Revenge” (una cover dei Black Flag del periodo pre-Rollins), che chiude l’album all’insegna del punk.
Un disco, insomma, di selvaggio rock’n’roll, dominato da chitarre invariabilmente distorte, una batteria che pesta duro ed una voce dotata di una naturale inclinazione all’urlo sguaiato. Ascoltandoli, viene spontaneo accostarli per certi versi ai Motorhead, a quel tipo di metal proverbialmente veloce e violento. Ma forse le parole che meglio calzano per descrivere il loro suono, le hanno trovate proprio loro stessi: “i Fu Manchu ed i Black Flag che cospirano per assassinare i White Stripes”.
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