1977: Gli Wire, nati alla scuola d’arte un anno prima dell’avvento del Punk (1976), esordiscono con Pink Flag. Quello che fu uno dei dischi più importanti del punk britannico, fu anche allo stesso tempo uno dei più inusuali e moderni, avanti coi tempi come poche volte capita di sentire riguardo a un album d’esordio. A piccoli sprazzi, nell’arco di un minuto o due, gli Wire compongono un tipo di brano deviante, che trascende dalla furente immediatezza punk, e nasconde sempre un lato oscuro, non istantaneamente decifrabile; è come se la necessità di rivolta e emancipazione, adesso si trasformi in maggior desiderio di intimismo, senza che ciò cancelli del tutto le tematiche sonore della generazione del ’77 inglese. Un intimismo comunque, che non si rivela ancora in un incupimento dei suoni, ma viene espresso semmai dalla labirinticità del brano, che nonostante la sua corta durata stupisce per incoerenza, sorprende l’ascoltatore nel non concedergli mai ciò che si aspetterebbe, creando un senso di incapacità ad essere afferrato, un senso di disagio, che non scaturisce dalle atmosfere, come nel Dark, ma viene evocato direttamente dall’impostazione strutturale del pezzo.

Ogni brano è tanto frenetico e breve quanto ricco di sfumature, non termina mai la struttura canonica solo accennata, eppure si concede quasi sempre variazioni su tema. Vale tanto per i pezzi più dilungati come “Reuters” o “Pink Flag”, quanto per gli innumerevoli frammenti, abbozzi storpi di forma canzone (ma non per questo meno che fascinosissimi) come le varie “Three girl rumba”, “It’s so obvious”, e la quasi integrità dei 21 episodi che compongono il disco. L’incompiutezza è anch’essa una componente fondamentale dei primi Wire, e fa parte di quello stesso intento destabilizzante per cui niente arriva mai nel momento in cui te lo aspetti. Cosi ogni pezzo finisce laddove ti aspetteresti che abbia ancora molto da dire, ed è come se ogni volta la melodia portante, ridotta al minimo dell’espressione concedibile, sia fondamentalmente qualcosa di trascurabile, meno importante della distorsione formale a cui costantemente viene sottoposto il pezzo.

Per questo nella musica, prima che nei testi, gli Wire si dimostrarono i primi cantori ad anticipare la disillusione che seguì l’entusiasmo del ’77. Il mondo che scaturisce dalla loro musica è un mondo senza punti di riferimento, dove la violenza sonora è una rabbia bianca disillusa più che anarchica, già post-moderna e proiettata verso il successivo decennio, piuttosto che legata al passato. Pink Flag forse non è definibile capolavoro per quanto la sua frenesia lo rende eccessivamente, anche se volutamente frammentario, nonostante ciò rappresenta una di quelle intuizioni cosi forti da influenzare un’intera era a venire, la New Wave britannica, e da non suonare inattuale neanche a quasi 30 anni di distanza alla sua uscita.

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