Cosa vuol dire maturità?

Avrò scritto quarantasette stronzate prima di optare per questo incipit. Quarantasette stronzate, girando probabilmente sempre attorno allo stesso concetto: la maturità. E girandoci sempre attorno, ma evidentemente senza saperlo. Per questo alla fine ho optato per il suddetto incipit, piuttosto che una della quarantasette stronzate.

Semplificando il quesito, si può dire con facilità cosa maturo non sia. E maturo non è spompo, né vecchio. Ma neppure i suoi estremi opposti: vispo, frizzante, frenetico, infervorato e, per quanto riguarda vecchio, giovane.

E allora forse la maturità è l'equilibrio perfetto. L'imperturbabilità del super partes. L'essere al di là del bene e del male (come la fanciulla, stewartiana memoria, nata su un raggio di suono). Scrutare il proprio passato col sorriso e volgere la coda dello sguardo al futuro senza provare paura. E' la serena presa di coscienza di sé nel presente. Boh.

Insomma, passato, presente, futuro. Scordiamoci il passato. Facciamo finta che i primi tre dischi dei Wire non siano mai esistiti. Contemplare un confronto con Quella triade sarebbe deleterio, non solo per un buon disco come l'ivi (più o meno) trattato, bensì per una carrellata di altri titoli, pubblicati da altrettanti nomi nel corso di quest'ultimi trent'anni e più che hanno diviso i Wire dalla passata gloria. Sarebbe come paragonare il diamante al cristallo.

Dimenticatevi pure l'esasperata evoluzione(?) del ritorno sulle scene dopo la loro assenza più lunga ("Send"). "Evoluzione" celebrativa dei più spigolosi fasti del passato, ma enfatizzati, tirati a lucido e revisionati ai nostri grami giorni. Dimenticateli. Perché nel rosso albero scorticato, gli studenti delle belle arti che salvarono il punk mentre i Pistols chiedevano a Dio di salvare l'immortale Elisabetta II e la sua nazione, hanno capito di non avere più vent'anni, sono pienamente coscienti di non essere dinosauri, e perché questo è probabilmente il loro disco della maturità - ammesso si escluda, come detto, l'inafferrabile trittico iniziale al fulmicotone nato già maturo. Anzi, vecchio, e di vent'anni pure. Curioso che generalmente tale modo di dire abbia accezione "spregiativa". Nascere vecchi è un pregio. E' essere sempre un passo avanti agli altri. Un passo avanti a quelli che sono nati due, tre anni prima, dovrebbero saper camminare, ma tu sei già un passo avanti.
E insomma, né vecchi, né spompati - non mancano difatti momenti cazzimmosi quali (su tutti) Two Minutes e Moreover -, giusto ponderati. Questa è la parola: ponderati.

Parafrasando una buona fetta del ronzio critico, si tratta di una sorta di "best of stilistico" fatto di inediti al passo coi tempi. E l'identità stilistica di questa formazione è da sempre quella di chi non è ascrivibile ad una identità, quella di chi è esente da etichettature precise. Ciò che ha contraddistinto la creme dell'operato di questa formazione è stato il coraggio, la poliedricità e la capacità che li ha spinti ad unire queste due doti e distruggere la forma, per ricomporne altre due, tre, quattro nuove, inedite; distruggere la forma canzone, rigirarla in tutti i sensi, e tirarne fuori sperma, litri di sperma. E queso sperma lo ritroviamo adulto, formato e coerente con ciò che si era prefissato oltre trent'anni fa. Che sia nell'attitudine pop della malinconica Adapt, che nei momenti più caustici.

Avevo detto che non avrebbe avuto senso guardare indietro. Mi ero ripromesso di non perdermi in inutili cenni storici e paragoni tra passato e presente, diamante e cristallo. Ma una qualità, seppur nulla abbiano a che fare l'un con l'altro, non può non associare il diamante con il cristallo: la lucentezza.

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