Questa formazione britannica è nota agli appassionati di musica soprattutto grazie al terzo album "Argus", che nel lontano 1972 impose con forza il loro rock moderato, melodico ed iper-chitarristico nelle classifiche internazionali, proiettando il quartetto verso un'effimera permanenza nella "serie A" delle big band dell'epoca, seguita ben presto da una "retrocessione" verso orizzonti più modesti, seppur dignitosi e meritevoli.
Dieci anni e ben otto dischi intercorrono fra il suddetto exploit del 1972 e questo lavoro, di discreto anche se non paragonabile successo all'epoca. Ma per chi ha nelle orecchie le musiche e i timbri più tipici dei Wishbone Ash, vale a dire un misto di blues e folk con occasionali puntate progressive, il tutto indurito dal rock ma senza esagerare, ebbene "Twin Barrels Burning" suona decisamente estraneo... Bisogna essere esperti delle cose del gruppo per cogliere le poche sfumature comuni (qualche frase di doppia chitarra solista armonizzata, il timbro vocale acuto e un po' chioccio del chitarrista Andy Powell...).
La faccenda va inquadrata in questo modo: passata l'onda di consistente successo dei primi anni settanta, il gruppo aveva cominciato a discutere e poi a litigare sulle ragioni del suo ridimensionamento commerciale, focalizzandole infine sulla figura del bassista/cantante Martin Turner, invero niente di speciale sia come frontman che come bassista. La soluzione sembrava essere stata trovata sostituendolo col famoso John Wetton (Family, King Crimson, Uriah Heep, Roxy Music, UK nel suo prestigioso curriculum di allora) ma per qualche motivo la cosa non aveva funzionato. Ironia della sorte, quelle canzoni che Wetton aveva proposto, invano, ai Wishbone Ash, incontreranno poi un incredibile (e ingiustificato, a mio sentire) boom commerciale una volta realizzate da John con una formazione nuova di zecca: gli Asia.
Via Wetton, ecco finalmente un bassista che non canta da solista, ma "tira" di brutto sul suo strumento, quel Trevor Bolder che si era fatto le ossa negli Spiders from Mars, il gruppo glam di David Bowie. Ma la mossa decisiva per la definitiva messa a fuoco di questo lavoro è il deciso spostamento delle incombenze del canto a favore del chitarrista Laurie Wisefield, entrato in formazione fin dal 1975 ma fin lì sottoimpiegato come frontman. Laurie ha una voce non eccezionale, in ogni caso tre volte più grintosa e decisa di tutti quelli che si erano avvicendati prima di lui in questo cimento nei Wishbone Ash... in grado perciò di fronteggiare, o meglio contribuire primariamente a forgiare il nuovo stile anni '80 per questa banda: l'hard rock. Melodico e accattivante, ma hard.
Le ritmiche perciò si irrigidiscono, i passaggi tonali si rarefanno, le concessioni progressive e folk risultano non pervenute, non si indugia più sulla specialità della casa e cioè i giochetti in armonia della doppia chitarra solista. Canzoni tutte di tre, massimo quattro minuti, ritmica compatta, distorsioni più accentuate, Wisefield che ce la mette tutta a ragliare le strofe e poi subito l'apertura del ritornello, stentorea, accessibile, a cori spiegati. L'album contiene nove canzoni tutte fatte così, immediate e ruffiane, efficaci anche se non esenti da pecche (il suono anni ottanta è sfigato di suo, proprio come filosofia imperante nelle produzioni: troppa compressione, troppi riverberi).
Il disco è estremamente accattivante, molto riuscito se si tiene conto che non cerca la profondità e la personalità, bensì l'immediatezza e la semplicità. Anche la copertina tradisce il tentativo di scrollarsi di dosso tutte le remore di ricercatezza e snobismo a favore del popolare e del (moderatamente) ruffiano in campo heavy.
Questi sforzi rocchettari, inaugurati in quest'opera, andranno avanti per un altro paio di album, poi la formazione getterà la spugna (Wisefield diverrà il chitarrista di fiducia di Tina Turner, poi di Joe Cocker), per poi ricostituirsi negli anni novanta, ma a quel punto solo come operazione nostalgia riesumando componenti, musiche, timbri ed approccio iniziale degli anni settanta.
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