Aveva solo 11 anni Mozart quando compose quest'opera. E' un capolavoro che scivola via come l'olio. Vivace, come può esserlo solo un bambino, leggera, brillante, acuta e soprattutto classica, di gusto e di fatto. E poi tutta quella manciata di melodia che Mozart ti getta addosso, quasi fosse un esercito di donne ignude che ti si attaccano tutte! Non puoi che lasciarti stuprare! Ma a 11 anni Mozart era già maturo: la creatività non gli mancava ed era abbastanza coscienzioso da creare un'opera di buon livello compositivo e forza comunicativa eccezionale.

Quale comunicatività mi si chiede? Un mito greco, reso da una musica che più mediterranea e classicheggiante di così si muore. Sfido chiunque a non trovare la Grecia classica di Omero e Esiodo o anche quella di Tucidide e Pericle in questa musicalità. Il tema è sacro (gli dei dell'Olimpo). Ma il sacro è reso pagano, nel senso che i vocalizzi sono da Cantata (esempio sublime è il duetto "Natus cadit atque Deus"), ma l'accompagnamento da un senso di sacro non cristiano, perché i violini sono maledettamente maliziosi, frivoli, ovvero immorali; si esce così eternamente dalle sepolcrali e mortuarie chiese cristiane per abbandonarsi all'estasi in colline di oliveti. Mi spiego? ovvio! Al senso di paganesimo mediterraneo si aggiunge anche il gusto classico dei templi e delle statue: marmo bianco, musica "bianca", marmo liscio, musica "liscia". Musica liscia? Come l'olio? Abbiamo parlato di oliveti no! Merveilleux! C‘è tutta la sensualità dei greci, la loro passione per la civiltà, la loro freschezza di popolo aristocratico, celebrativo ed avventuroso, con un arte fiera nel suo equilibrio e nella sua compostezza. L'amore è vendetta, diventa omicidio, perché la storia dei greci è molto diversa da come fino ad oggi gli accademici ce l'hanno mostrata, come se fosse la culla della democrazia pacifica ed egualitaria, emblema di armonia e di tranquillità, apologia della modernità, conferma (atavica) dei valori attuali: come quel filosofo teutonico, discepolo di Dioniso, come recentemente molti coscienziosi del settore, un L. Canfora ad esempio, incominciamo ad accettare il fatto che i Greci furono una civiltà segnata da dittature, guerre civili, omicidi, "ingiustizie", sangue, avidità, volontà di potenza ...

Il dialogo tucidideo tra Ateniesi e Meli rivive superficialmente in quest'opera, sotto le forme del sentimento d'amore, come testimonianza dello spirito ellenico, quello vero. Sì, violenza passionale, spirito che è anche inganno ... Un'opera vera, genuina. Ma sono presenti anche delle contraddizioni in tal senso che mostrano un irrinunciabile legame con i pregiudizi accademici (del resto ricordo che quest'opera fu commissionata dal ginnasio dell'università salisburghese dei benedettini): il libretto scritto da Padre Widl (esempio, testo dell'aria "Laetari, iocari") esprime un eccessivo sentimentalismo: Melia pensa che sarà amata dal popolo dopo essere diventata dea, paladina della bontà, sposando Apollo; questo è un concetto estraneo alla cultura ellenica, almeno non filosofica.

Accompagnamento costante del clavicembalo, predominio degli archi, accordi prolungati dei fiati (nessun bordone naturalmente), corni da tema pastorale come evocazione ellenica (aria del I atto "Jam Pastor Apollo"), qua e là tentativi più o meno riusciti di evocare con la musica situazioni sceniche (nel I atto tuone e amore, nel III atto Apollo invoca Eolo contro Zefiro, ma qui la musica è debole nella scrittura - non è un errore della produzione -, quasi ci fosse un buco tra entrata e uscita di scena dei due personaggi), intermezzo II atto con vaghe rievocazioni bizantine (come accadrà interamente nel "Ratto del serraglio").

Chi non ama i gorgeggi da soprano tipici dello stile italiano, tanto disprezzati dai francesi, ma che possono a tratti ricordare l'estetica da Opéra de Paris ("Les contes d'Hoffmann"), come nell'aria "Laetari, iocari", probabilmente troverà quest'opera zuccherosa e banale.

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