Onestamente non avevo voglia di andare a quel concerto: vengo avvisato giusto un paio d'ore prima dell'inizio, senza un minimo di dettagli, mi devo fare un'ora e passa di autostrada per raggiungere il conservatorio senza parcheggio, stavo tanto bene a dormire in canottiera e pantaloncini sul letto e mi ero pure già figurato la serata a vedere un film sul divano in pigiama felpato e snack ipercalorici. Penso che comunque è un concerto per flauto, il mio strumento musicale preferito, che è gratis e che probabilmente potrebbe essere utile uscire di casa ogni tanto.
Dopo 3 euro e 60 di autostrada raggiungo la sala da concerto: è piena di parenti e amici degli studenti che suoneranno i pezzi in programma e di altri avventori molto attratti dalla gratuità dell'après-midi musicale e molto poco dal freddo in strada. Afferro il libretto di sala e mentre mi approprio della poltroncina leggo il programma. È uno shock: le tre performance prevedono due sonate per piano & flauto e un concerto per orchestra & flauto, tutto di Mozart, e il concerto per flauto è proprio quello in sol maggiore, quel KV 313 che ascolto fin da bambino perdendomi nella letizia infinita di quella quasi mezzora di sogno lucido.
Mozart, che per anni ho conosciuto attraverso la lente deformata e romanzata, sì, ma non per questo meno affascinante dell'"Amadeus" di Forman e poi suonandolo con le mie mani al pianoforte e detestandolo un po', e che solo da qualche anno sono riuscito a ritrovare a me vicino, a comprenderlo non solo come uomo, ma come amico e artista, come straordinario comunicatore dell'emozione umana, come tramite fra l'impossibilità di descrivere con precisione i qualia della nostra percezione e l'effettiva possibilità di farlo che pochissimi esseri umani hanno avuto. Il KV 313! Ascoltato non so più quante volte e mai dal vivo, e finalmente ho la possibilità di sentirlo eseguito a pochi metri dalle mie orecchie, non riesco a crederci, ho già gli occhi umidi, vado al bagno, torno e mi siedo il più al centro possibile su una poltroncina proprio di fronte allo spazio vuoto semicircolare che immagino sarà occupato dal solista, circondato dalle sedie per gli orchestrali. Si spengono le luci e comincia il concerto.
Entrano tre ragazze: due prendono posto al piano, una suona e l'altra le gira le pagine, la terza indossa solo una petite robe noire e si prepara col suo flauto traverso a suonare il duetto KV 14. È brava, ma per tutta la durata del brano riesco a guardare solo le sue lunghissime gambe svelate dalla gonna minuscola e slanciate dai tacchi sottili. A volte serra le gambe e fa toccare i talloni, e poi di colpo le apre ad A, poi le richiude lentamente e di nuovo le apre di scatto. Quando finisce anche il terzo movimento ringrazia e se ne va camminando ad ampie falcate, le due ragazze al piano invertono la loro posizione ed entra un ventiqualcosenne bruno pieno di boccoli che esegue un altro dei sei duetti londinesi, il KV 13, ballicchiando per seguire il movimento della musica. Vorrei dedicargli l'attenzione che merita perché è molto bravo anche lui, ma tutte quelle sedie vuote dietro la sua schiena mi distraggono perché so già che verranno occupate da quattro violini, una viola, un violoncello, due corni, due oboe, due flauti e a fianco a loro un contrabbasso in piedi che infatti si sistemano sul palco non appena finisce il minuetto conclusivo. Gambelunghe e Boccoloso prendono posto sulle sedioline dei flautisti, prima protagonisti e ora accompagnatori, e prendono il la dal primo violino mentre entra il solista: è Maxence Larrieu, francese, 79 anni questo ottobre, uno dei più importanti flautisti viventi al mondo, ho diverse sue registrazioni, è sempre su un aereo per andare a suonare ovunque e ora è qui davanti a me con questa musica che rappresenta un pezzo della mia vita e lui non lo sa.
Tutti gli orchestrali si assettano comodamente e Larrieu resta in piedi nello spazio semicircolare insieme al direttore. Cinque secondi di silenzio. Inizia la musica e non riesco a sentirla: nella mia mente fluiscono una tale quantità di immagini, ricordi, momenti belli e brutti della mia vita, ripenso a tante cose e le cose s'inanellano in flussi di coscienza che galleggiano sul flauto, è inarrestabile, il discorso fra gli strumenti è così omogeneo e felice che io stesso non riesco a essere felice e cado come preda di uno sconforto, una tristezza, una dolce malinconia, come una mano gentile che mi ricorda la mia età, quello che ho già costruito e quello che ancora manca e tanti castelli di carte miseramente crollati davanti ai miei occhi, e piangere, piangere, piangere. Solo quando gli strumenti tacciono e resta il flauto solo, ecco che d'improvviso la testa smette di girare e semplicemente ascolto senza pensare a nulla: le note salgono e scendono e non sembra esserci ragione se non quella di toccare il cuore di chi ascolta. Venti minuti di tessuto musicale morbidissimo intessuto dal flauto magico di Larrieu che è un portento, velocissimo e preciso, un suono così pulito e coerente, nei passaggi più difficili fluidifica le scale rendendole un unico gradiente sonoro; Gambelunghe ogni tanto lo guarda strabuzzando gli occhi come stupita e ammirata, forse sta facendo dei confronti con sé stessa e pensa «chissà dove sarò io, a 79 anni».
Quando finisce il concerto sono come straniato, come sott'acqua, come col cotone nelle orecchie. Sento gli occhi umidi, non so nemmeno perché. Il maestro concede due bis e poi saluta e se ne va.
Tornato a casa cerco sullo scaffale quel CD della Deutsche Grammophon comprato per quattro euro in un negozio di dischi che stava chiudendo e svendeva tutto: contiene i due concerti di Mozart per orchestra e flauto solo, il KV 313 e il 314, e poi quell'altro miracolo che è il concerto KV 299 per orchestra e flauto & arpa. Il CD è tutto opaco e graffiato, proprio come il vinile a casa dei miei genitori, ma lo metto comunque per l'ennesima volta nel lettore. I due concerti per flauto sono eseguiti dalla English Chamber Orchestra con solista Karlheinz Zöller, mentre il terzo è suonato dai Berliner sempre con Zöller e Nicanor Zabaleta all'arpa, che nonostante sia un uomo accarezza con incredibile gentilezza il suo ingombrante strumento. La forma del concerto in Mozart si formalizza in tre movimenti di diverso ritmo di cui solitamente il secondo è più lento e il terzo è danzabile, tipo rondò o minuetto. È molto difficile esprimere a parole la qualità di questa musica: addentrandosi in un discorso tecnico se ne potrebbero elogiare certi aspetti che comunque non sono davvero quelli che suscitano emozione nell'ascoltatore. È la naturalezza e apparente semplicità quella che incanta: partendo da un motivettuccio cantabile, Mozart espande all'infinito le possibilità espressive delle note attraverso le possibilità espressive degli strumenti creando un arabesco di incredibile ampiezza e complessità e al contempo di perfetta ascoltabilità e grande leggerezza, come realizzare un mosaico partendo da una tessera per poi finire a ricoprire l'intera parete che, vista da lontano, è perfettamente bilanciata nei colori e piacevole nelle forme. Non serve niente per godere della qualità di questa musica, basta lasciarsi trasportare dal fiume delle lacrime seguendone le anse e le cascate. È proprio come diceva Salieri: «Sulla pagina sembrava… niente…».
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