Ma come, a trent'anni passati vivi solo?.. E per il mangiare, il lavare, lo stirare!?
Ebbene si, vivo solo ed altrettanto “ebbene si”, sembra che soprattutto nella patria galera veneta, gli elementi fondamentali per un'esistenza senza preoccupazioni siano questi: sistemarsi affettivamente (ma anche senza tanto affetto), metter da parte “i schei” e fare figli ai quali poi andranno “i schei” messi prima da parte.
Ad alcuni non riesce proprio di capire che possono esserci delle sere che anche se la casa è in ordine, se la biancheria è asciutta e stirata, se ti sei addirittura già fatto una cazzo di pastasciutta, ti si appiccica addosso una strana e misteriosa malinconia che ti fa invidiare anche le coppie immusonite sul divano, mentre guardano in tuta da ginnastica e ciabatte “l'isola dei famosi”, così inconsapevolmente tristi da non riuscir nemmeno a prendere per il culo quello che stanno vedendo.
In questi momenti c'è proprio l'urgenza di uno scossone, di qualcosa che ti pungoli i pensieri stantii e appassiti, qualsiasi cosa che bene o male possa scacciare questo torpore invadente che ormai è un tutt'uno con te.
E sembrerà impossibile, ma a volte tutto questo lo si può raggiungere schiacciando semplicemente il “play” sul disco giusto.
Mozart! C'è tutto dentro la sua musica, non conosco nessuno che meglio di lui sia riuscito ad interpretare i sentimenti dell'animo umano per poi metterteli lì davanti, a portata di cuore.
La Grande Messa in do minore è una di quelle composizioni che più che ascoltarle si dovrebbero “cavalcare” cercando di non essere disarcionati da quegli improvvisi cambi di andatura, quando il dondolante e lieve passo lascia il posto ad un impazzito e incontrollabile galoppo per poi arrestarsi bruscamente, prima che succeda il peggio, e riportarci nella quiete che fino ad un attimo fa sembrava irrimediabilmente perduta. E in questo viaggio col destriero Amadeus si è talmente ricchi di stati d’animo che assolutamente viene a mancare lo spazio prima occupato da quell’invadente signorina Malinconia.
Questa messa, come il più famoso Requiem, è lasciata incompiuta; Mozart la scrisse a Vienna nell'estate del 1783 come voto fatto affinché sua moglie Costanze passasse indenne le difficoltà avute durante la gravidanza del suo primo figlio (che morì all'età di due mesi). Fu poi eseguita a Salisburgo, nella chiesa di San Pietro, anche nel tentativo di riconciliarsi con il padre dopo la fuga a Vienna e di far si che questi accettasse la novella sposa, che per l'occasione faceva la parte del soprano.
Nel Kyrie c'è già tutto lo spirito mozartiano, l'andatura iniziale è solenne ma al tempo stesso desolante, tragica, una discesa diretta all'inferno tra le grida dei disperati che invocano pietà. Ma ad un tratto, improvvisamente ecco che questo ostinato invocare “Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison” si trasferisce in un'oasi di pace e compostezza, quasi che per traguardare il luminoso e raggiante apice di paradiso si debba per forza di cose attraversare il più greve e oscuro inferno.
Ed è un continuo alternarsi di sensazioni e di sentimenti diversi, a volte talmente opposti e contrastanti che paiono proprio scosse alternate, liberatorie, che destabilizzano tutta la noia fossilizzata che ti sei portato a casa dalla giornata. E' una musica che te la sfracella al suolo, questa disarmante letargia, per poi innalzarla e scagliarla ancora in terra, proprio come barbaramente si usa fare per “schiumare” i polpi al fine di renderli più teneri.
Tutto questo grazie alla duplicità della natura di Mozart, dove lo scherzo e il dramma, la mordente malinconia e la gioia più schietta, la più leggera e dolce soavità e il terrore demoniaco si annusano continuamente, ora sfiorandosi appena, ora interagendo brutalmente e senza mezzi termini, senza però mai far venir meno quel rigore formale e quell'equilibrio garbato tipico del periodo classico.
Per un sublime esempio di questo si ascolti l'andante incompiuto “Et incarnatus est” dal Credo, dove il canto e controcanto tra il soprano e l'orchestra infondono una dolcezza così coinvolgente da rigettare all'istante l'invidia provata prima verso quei due sul divano, anzi vorresti proprio che anche loro potessero raccogliere in grembo questa musica per poi abbracciarsi con una tensione mai fino ad ora provata.
Una raccomandazione: non si scoraggino quelli che alla parola “messa” vien in mente il consueto appuntamento domenicale; quella per alcuni può rappresentare nient'altro che una “messa in scena”, questa è un'opera d'arte che ha lo straordinario potere di innalzare e di coinvolgere chiunque abbia nelle vene un minino di sensibilità, senza distinzioni di credo. Il fatto che poi, innalzandosi, si abbia la percezione di avvicinarsi al cielo o di allontanarsi da terra, fa davvero poca differenza.
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