È difficile parlare di Wolfgang Muthspiel: chitarrista austriaco enfant prodige negli anni ’80 al fianco di Gary Burton, stabilitosi a New York negli anni ’90 dove mette a segno una serie di collaborazioni di livello assoluto (Peter Erskine, Paul Motian, Bob Berg e chi più ne ha più ne metta), sul finire degli anni ’90 inizia a scomparire gradualmente dai radar, torna in Austria nel 2002 e sembra avviarsi verso una nobilissima carriera ma sostanzialmente lontana dai piani alti del jazz internazionale.

Questo suo graduale defilarsi risente anche di una discografia solista poco lineare, divisa tra lavori “tradizionali” e dischi invece più vicini al mondo dell’elettronica, sonorità più nordiche ed europee di fianco a incursioni quasi pop come quelle al fianco della cantante norvegese Rebekka Bakken.

Le luci si riaccendono su questo grande chitarrista nel 2013, quando entra nel giro della ECM di Manfred Eicher, con la quale realizza un paio di lavori di grande fattura prima di Where The River Goes del 2018. Con questo album tutti coloro, appassionati e addetti ai lavori, che continuavano ad apprezzare il lavoro di Muthspiel ma senza più aspettarsi il grande colpo rimangono spiazzati: preparato dall’ottimo predecessore Rising Grace, Where The River Goes è un disco semplicemente perfetto, e rappresenta il punto di convergenza di tutto quell’immaginario estetico e poetico di Muthspiel che fino ad allora era apparso qua e là ma in maniera frammentaria.

La line-up è praticamente identica a Rising Grace e raccoglie gli “avengers” del jazz contemporaneo, in un mix di ingredienti perfetto: c’è la tromba sognante e viaggiatrice di Ambrose Akinmusire, la logica ferrea e allo stesso tempo sorprendente di Brad Mehldau, la solidità granitica di Larry Grenadier e le trame in continuo movimento della batteria di Eric Harland, a sostituire Brian Blade presente nell’album precedente. Sui solisti e sulla qualità improvvisativa credo ci sia ben poco da aggiungere, il resto lo fa la matita di Muthspiel mai così lucida e appuntita, capace di disegnare melodie evocative e suggestive come quella della title-track, architetture ora austere e ora spietatamente liriche come in For Django e infine armonie limpide e meravigliose come nelle battute finali di Panorama, piccolo gioiello giocato in duo con Harland che chiude il disco.

I due dischi registrati con questa formazione segnano inevitabilmente un prima e un dopo nella carriera di Muthspiel, che di lì in avanti continuerà ad affidare la sua produzione a ECM fino ai giorni nostri - l’ultima uscita, Etudes – Quietudes, è dell’anno scorso - e che chi scrive si augura possa proseguire a questi livelli il più a lungo possibile.

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