La seconda battaglia dell'Atlantico fu la più lunga e intesa campagna militare della storia, il cui esito fu determinante per permettere agli Alleati di vincere la guerra. Negli anni dal '39 al '45 il terrore dei mari aveva la minacciosa e defilata sagoma degli U-boot tedeschi, che sciamavano per tutto l'Oceano col preciso scopo di strangolare l'Inghilterra interrompendone le linee di rifornimento. Questo film ci racconta come venne vissuta questa lotta da chi alla fine la perse.
Girato nel 1981 dopo una meticolosa e attenta pre-produzione, bastato sul best-seller omonimo scritto dal corrispondente di guerra Lothar-Günther Buchheim, "Das Boot" fa del realismo e dell'asciuttezza narrativa il suo fulcro e la sua forza. Il regista Wolfgang Petersen, trasferitosi in seguito a Hollywood e a pacchianate perlopiù ad alto budget e bassa levatura, scrive anche una sceneggiatura dal taglio documentaristico, impegnandosi per dare della Battaglia dell'Atlantico l'idea più chiara e veritiera possibile.
La trama è semplicissima: il tenente Werner, corrispondente di guerra che deve mostrare ed esaltare per la propaganda di regime la gloriosa epopea degli U-boot e dei loro equipaggi, sale a bordo dell'U96, sommergibile tipo VIIC che nel 1941 parte da La Rochelle per intercettare naviglio alleato nell'Atlantico, con tutte le vicende e i pericoli connessi a una missione di guerra. E' la guerra della Germania, gettatasi nell'abisso esaltato del nazismo, tesa a dominare il mondo e a lottare contro potenze che si sanno - ma si sceglie di ignorare - essere invincibili. Lo sa il comandante, Der Alte (Il Vecchio), interpretato dagli occhi di ghiaccio di un grande Jürgen Prochnow, lo scoprirà anche lo stesso Werner: sotto la spessa e oleosa patina della retorica e della mistificazione, la Germania nazista è in realtà già destinata alla sconfitta. Neanche le grasse e vuote chiacchiere di Goering udite per radio, le parole sprezzanti rivolte al ticchettio del sonar nemico e lo zelo del giovane guardiamarina nazista possono a lungo mascherare questa verità.
Ladisillusione degli ufficiali e del comandate, che sembra affrontare ogni cosa con un piglio insieme rassegnato, orgoglioso e ironico, riflette peraltro un reale dato storico, confermato anche da studiosi contemporanei come Ludovic Kennedy, secondo il quale la propaganda, specie dal 1943 in poi, faceva difficilmente presa sui membri della Kriegsmarine. Che fosse perchè questi marinai erano impegnati in una guerra solitaria, cruda e ben difficile da edulcorare, lontana da ogni civiltà e con la quale dovevano fare i conti in ogni minuto della loro vita, o perchè gli ufficiali erano in molti casi gli stessi veterani che avevano combattuto in gioventù sotto la bandiera imperiale, fattostà che il sogno della vittoria e del dominio tedesco del mondo non illumina i bui e umidi recessi dell'U96. Si può anche pensare che si tratti di una scelta di comodo dei produttori tesa a prendere ideologicamente le distanze dal terrificante passato tedesco, ma il tono secco e asciutto del film e i dati storici ci aiutano a respingere questa ipotesi.
Delresto il messaggio antimilitarista e di condanna è evidente: nulla viene rimpianto o celebrato, qui si tratta solo di mostrare una realtà, quella della lotta contro gli uomini e contro il mare, della promiscuità, della vuota routine di bordo, dell'anima e della memoria che marciscono come il cibo via via che i giorni in mare si allungano. Il film centra in pieno questo obbiettivo con un apparato tecnico fenomenale: gli effetti speciali sono eccellenti e le scenografie curate nei minimi dettaglio (la produzione costruì due repliche a grandezza naturale del tipo VIIC oltre a diversi modelli in scala), il sonoro è straordinario, la resa dell'atmosfera di bordo coinvolgente ai massimi livelli. Il sudore, il fumo delle esplosioni, le concussioni delle bombe di profondità filtrano dallo schermo, soprattutto nell'impressionante scena di Gibilterra, in cui si raggiunge l'apoteosi della tensione. La vista degli uomini che si affannano per riparare le falle immergendosi nelle tenebre meccaniche del sommergibile trascende l'immaginario bellico e ci suggerisce lo spettro di altre guerre, quella dell'uomo contro la macchina e della macchina contro la natura, della vita contro la morte. Che pure attende, sempre e comunque, l'U96 e il suo carico di follia. Il finale ci conferma quanto insensata e folle sia la 'crociata' nazista contro il mondo, quanto effimera e inutile sia la lotta per sopravvivere di un'idea infetta e di un popolo che, consciamente o inconsciamente, ha scelto la via della distruzione. L'U96 è la nave dei dannati che trascina per l'immensità dell'Oceano e della Storia questo ricciolo di umanità deviata, insieme colpevole e vittima di se stessa, che combatte la sua lotta quotidiana fatta di miserie, privazioni, terrore ed esaltanti quanto inutili vittorie. Anche il celeberrimo tema musicale, insieme epico e profondamente tragico, ben si confà a questa sensazione di morte e di sconfitta inevitabile.
Tecnicamente ineccepibile, "Das Boot" è un film amaro e intenso, recitato ad alti livelli e molto coinvolgente. Premiato meritatamente dalla critica e dal pubblico, la sua efficacia e il suo realismo sono però a volte smorzati da un'estetica teutonica che, specie nei primi piani e nei dialoghi, rivela la sua profonda pesantezza e penalizza diverse scene. Rimane comunque un film da vedere, per il suo realismo, la sua logica e tragica ineluttabilità, la straordinaria resa di una suspense che ben pochi thriller o horror sono capaci di eguagliare.
Consiglio la versione uncut del 2004, forse estenuante nei suoi 293 minuti ma che rappresenta una cavalcata di claustrofobia, disperazione e tensione che sarà difficile da dimenticare nonostante un doppiaggio italiano non sempre all'altezza.
Carico i commenti... con calma