Brumose lande battute dal mare, dolci colline sferzate dal vento, rimpianto per ciò che non tornerà e tanta voglia di bere birra; ecco cosa evocano gli scozzesi Wolfstone, in assoluto una delle migliori realtà "folk" degli ultimi decenni; non aspettatevi però fiere atmosfere di battaglia da gruppi folk-metal, la Scozia è dipinta da questi artisti con dolcezza, allegria, amore e tanta malinconia.

Il delicato arpeggio di chitarra che apre l'iniziale "Cleveland Park" sfocia ben presto in un affresco di violini danzerecci, accompagnati anche da basso e batteria, che vi farà venir voglia di prendere la prima persona vicina a braccetto per ballarci fino allo sfinimento; a concludere la canzone arriva anche una cornamusa che si inserisce nella fantastica melodia intessuta da tutti gli altri strumenti, creando una vera e propria festa per le orecchie; dopo un tale inizio però l'atmosfera cambia completamente in "Song for Yesterday", con una chitarra acustica che ricama la dolce e malinconica base per l'entrata in scena dell'ultimo strumento ancora inutilizzato del gruppo, la voce; e che voce! Un cantante fantastico, con un timbro caldo e veramente evocativo; canzone stupenda, che raggiunge il proprio zenith con il lancinante assolo di chitarre elettriche a metà della propria durata, per poi concludersi sugli stessi violini della canzone di prima, anch'essi però ora quasi tristi. La successiva strumentale "The Silver Spear" è uno strepitoso crescendo di chitarre acustiche sostenuto da un ottimo basso, che con la successiva "Sleepy Toon", anch'essa ottima, riporta atmosfere più serene, che lasciano però di nuovo il posto a sensazioni più tristi in "Hector the Hero", costruita su uno straziante violino accompagnato da chitarra acustica, per poi sfociare in una seconda parte basata su cornamusa e chitarre elettriche quasi hard rock.

La seconda parte del disco è a mio parere ancora migliore di quanto sentito finora, e si apre con "The Howl", unica canzone dell'album a superare i sette minuti di durata (tutte le altre rimangono sotto i sei e molte anche sotto i 4), caratterizzata da continue variazioni di tema; la successiva "Here Is Where the Heart Is" è la canzone che più preferisco dell'album; dopo una magnifica introduzione di violini seguiti da chitarre e basso ricompare la magnifica voce di Ivan Drever e di nuovo commuove, così come nella successiva "Hard Heart". La conclusiva "Erin" è un altro degli assoluti vertici dell'album, un incredibile crescendo di violini e chitarre acustiche che chiude superlativamente un album pressochè perfetto.

Se non li conoscete ascoltateli, se pensate alla musica folk unicamente come qualcosa da fiere di paese sentiteli e cambierete idea, questi hanno una classe veramente fuori dal comune. Mi scuso in anticipo se mi sono dilungato eccessivamente nel track by track, l'ho fatto in modo da poter descrivere il più possibile la loro musica dato che sono un gruppo che ai più risulterà sconosciuto, ma qualsiasi parola è superflua dinnanzi a un lavoro simile, nient'altro che pura Arte

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